
Dopo gli autori che si sono confrontati con la storia recente (nel numero precedente di FuoriSchermo mi ero occupato di
 titoli come 
La meglio gioventù, Buongiorno notte, The Dreamers, Segreti di Stato), una parte del nostro cinema (si tratta
 soprattutto di registi esordienti o quasi) sembra voler volgere lo sguardo sulla realtà socio-economica di un'Italia
 tutt'altro che omogenea, benestante e pacificata.
Alla 61° Mostra del Cinema di Venezia titoli quali 
Vento di terra, Nemmeno il destino, Lavorare con lentezza, Saimir,
 Volevo solo dormirle addosso affrontano direttamente, pur con differenze di tono e di stile, problematiche di sicura
 rilevanza sociale.
Non si tratta certo di una tendenza irrevocabile, e forse nemmeno dominante: il cinema borghese e piccolo-borghese,
 intimista, familiarista, più o meno ombelicale che ha caratterizzato tutta una generazione di autori italiani ha allineato
 nell’ultimo festival di Cannes titoli come 
Le conseguenze dell’amore di Sorrentino (un borghese mafioso invischiato in un
 innamoramento senile), 
L’amore molesto di Martone (un borghese intellettuale invischiato in un perverso triangolo erotico),
 
Sotto falso nome di D'Andò (un borghese scrittore invischiato con i fantasmi del passato), 
Non ti muovere (un borghese
 chirurgo invischiato in una torbida regressione erotico-maschilista), mentre a Venezia l'Italia schierava ad esempio il
 fotoromanzesco 
L’amore ritrovato di Mazzacurati e il didascalico 
Il resto di niente della De Lillo (che con un'operazione
 alla Taviani cerca di parlare dell'oggi guardando al passato, ma dimenticandosi sostanzialmente di scegliere un punto di
 vista).
Eppure già nella stagione precedente i temi sociali facevano capolino o dominavano la scena in titoli di diverso spessore e
 valore. Questione giovanile, disoccupazione, devianza e microcriminalità, immigrazione, intolleranza xenofoba, sullo sfondo
 di una credibile periferia milanese, permeano 
Fame chimica, di Bocola e Vari, filiazione del corto docufiction degli stessi
 autori dallo stesso titolo; disoccupazione e distanza generazionale segnano il rapporto padre-figlio in 
Liberi di Tavarelli;
 nella commedia giovanile 
Ora o mai più di Pellegrini - ambientata in un centro sociale - fanno irruzione le violenze
 poliziesche durante il G8 di Genova; 
Mi piace lavorare della Comenicini esplora dalla parte delle vittime le perverse
 logiche del mondo del lavoro; 
Certi bambini dei fratelli Frazzi getta uno sguardo sulle infanzie negate in un Sud degradato
 e corrotto.
Si tratta, nella maggior parte dei casi, di opere non certo prive di difetti (semplificazioni e schematizzazioni, adozione
 di schemi narrativi abusati), ma certo interessanti nel segnare un interesse rinnovato dei cineasti italiani per il mondo
 sociale che li (ci) circonda.
Stesso discorso vale per i titoli veneziani citati, che mantengono il fuoco dell’attenzione sul sociale pur senza conseguire
 esiti estetici pienamente convincenti. Marra con 
Vento di terra prosegue il percorso contenutistico e stilistico intrapreso
 con il precedente 
Tornando a casa: un Sud segnato dalla disoccupazione, dal problema degli alloggi, dove i giovani si
 trovano esposti alla tentazione dell'illegalità. Il protagonista di 
Vento di terra trova un’onesta via di fuga
 nell’arruolamento nelle forze armate, salvo scoprire che la militanza in istituzioni comunque votate alla guerra comporta a
 sua volta dei rischi non calcolati. Quello di Marra si conferma un cinema verghiano, rigoroso ma monotono nel suo
 pessimismo programmatico. Altri giovani protagonisti nella seconda prova di Gaglianone, 
Nemmeno il destino, che dopo il

 resistenziale 
I nostri anni racconta la storia di tre adolescenti tra marginalità e devianza. Anche qui è l'accumulo a
 nuocere: genitori malati di mente o alcolisti, sfratti, disgrazie famigliari e una sequenza di suicidi giovanili lasciano
 poco spazio a possibili alternative. Nuoce al film anche l'incertezza sul tono da adottare, tra il cinema-veritè della
 prima parte, con i protagonisti lasciati agire a briglia sciolta, il cinema di ricerca della parte centrale, con le sequenze
 semi-oniriche dedicate ai drammi degli adulti, e la commedia drammatica della parte finale ambientata nella comunità di
 recupero. Più convincente appare lo stile secco di 
Saimir, opera prima di Francesco Munzi, dedicata ad un adolescente
 albanese (i protagonisti di tutti i film citati sono sempre e solo maschi.) che in Italia si dedica col padre al lucroso
 trasporto di immigrati clandestini. Il ritratto del personaggio e lo sfondo socio-culturale sono ben delineati, ma il film
 sconta il peccato non veniale di ricalcare personaggi, temi e sviluppo narrativo de 
La promesse dei fratelli Dardenne.
Adotta invece toni decisamente da commedia 
Volevo solo dormirle addosso, di Eugenio Cappuccio. L'universo di 
Mi piace
 lavorare viene qui visto al contrario, dalla parte dei carnefici: protagonista un giovane tagliatore di teste incaricato 
di decimare il personale di un'azienda in un breve lasso di tempo. Lontano dai toni cupi di opere come 
Risorse umane o
 
L’eredità, Cappuccio sceglie la strada rischiosa della leggerezza, ma descrive un ambiente lavorativo in cui molti si
riconosceranno e uno stile di vita esclusivamente orientato al successo professionale di sinistra attualità.
Un discorso a parte merita il discorso sull’handicap di Amelio con 
Le chiavi di casa, che va oltre le problematicità
 intrinseche al tema per seguire un percorso d'autore segnato da precise ricorrenze, e che prevede la descrizione di un
 viaggio-deriva durante il quale si sviluppa un contraddittorio rapporto padre-figlio (
Il ladro di bambini, Lamerica).
In qualche modo rientra in questo discorso sul rinnovato interesse sociale anche il documentario di Ciprì e Maresco 
Come
 inguaiammo il cinema italiano, con la rispettosa attenzione critico-filologica dedicata ad un materiale culturalmente
 "basso" come i film di Franchi e Ingrassia, espressione comica negli anni '60 delle contraddizioni di un Paese in bilico
 tra modernizzazione industriale e intellettuale da una parte e radici popolari e contadine dall'altra.
Una citazione a parte merita 
Private, vincitore del Pardo d'Oro al Festival di Locarno (e già acquistato in oltre 25 Paesi).

 Saverio Costanzo, nel suo fulminante esordio nel cinema di finzione, porta lo sguardo lontano dalla realtà italiana, ma
 tenendolo ben aderente alla realtà politica del mondo contemporaneo. Girando con capitali italiani in una villetta
 calabrese nei pressi di Riace, e facendo convivere sul set attori israeliani e palestinesi, Costanzo mette in scena una
 rappresentazione "domestica" del conflitto israelo-palestinese. Riprese in digitale e camera a mano conferiscono il
 sapore della verità ad un racconto pieno di tensione, che con un'impaginazione dialettico-narrativa esemplare mostra non
 solo il conflitto tra due popoli, ma anche quello tra violenza e non-violenza, tra diverse modi di concepire la resistenza
 all'aggressione