Il teatro non sta affatto bene. Non è il caso però di piangersi addosso. Questa è stata la linea guida del convegno “Le
 buone pratiche” che si è svolto a Milano lo scorso 6 novembre presso la Scuola D’Arte Drammatica «Paolo Grassi». Organizzata
 da Mimma Gallina, Franco d’Ippolito e Oliviero Ponte di Pino, da sempre promotori di un rinnovamento della scena teatrale
 italiana, l’iniziativa ha visto la partecipazione di circa 500 persone tra tecnici del settore, attori, direttori artistici
 e appassionati di teatro. Argomento dell’incontro le pessime condizioni del teatro italiano, ma soprattutto le  possibili
 cure.
La situazione è questa: i finanziamenti sono sempre stati pochi, oggi lo sono ancora meno. L’attuale politica finanziaria,
 caratterizzata dai numerosi tagli a tutti i settori sociali, ha toccato anche la cultura. La Commissione Consultiva
 appositamente costituita ha infatti deciso una riduzione degli investimenti nei settori dello spettacolo.
Non solo. «E’ davvero scandaloso che sia ogni volta così difficile trovare un qualche criterio nelle valutazioni delle
 Commissioni, da sempre troppo sensibili a clientelismi e pressioni di ogni genere», non escluse quelle squisitamente
 politiche. «Il secondo motivo di scandalo nasce dal mistero che circonda le “valutazioni qualitative”, che non sembrano in
 alcun modo tener conto dei risultati artistici delle compagnie». Queste le considerazioni di Mimma Gallina che sottolinea
 come il più colpito sia il teatro d’innovazione e di ricerca per il quale si parla di tagli pari al 50% o addirittura del
 100%.

Dati che rappresentano una scelta precisa di disinvestimento su questo settore fondamentale del teatro italiano. Anche la
 scelta dei tempi non è delle più felici. Comunicare l’entità di questi tagli a fine ottobre significa stravolgere il piano
 delle attività che ciascuna compagnia progetta molto prima dell’inizio della stagione teatrale. Se poi questi tagli sono
 radicali comportano la bancarotta delle compagnie che non possono rispettare gli impegni presi con i fornitori e con le
 banche. Tutto ciò è l’ennesima conferma di quanto Ponte di Pino ripete già da molti anni e cioè che “la logica con cui si
 muove qualunque burocrazia ha molte difficoltà ad entrare in rapporto con una pratica fondata sull’entusiasmo e sull’impegno
 personale”. La situazione è complessa. 
Primo, perché il teatro non può fare a meno delle sovvenzioni statali. Secondo, perché gli enti pubblici che erogano hanno
 difficoltà nello spartirsi le competenze sovrapponendosi o lasciando scoperti dei settori.
Cosa si può fare? Ottimizzare le poche risorse di cui si dispone è sicuramente un buon punto di partenza. Questa operazione
 passa attraverso quella che Franco Quadri definisce “una banca di idee per non dover sempre attingere solo al denaro
 pubblico”.
Il risvolto pratico di questa voglia di emanciparsi tocca tutti gli aspetti organizzativi, dalla produzione alla
 distribuzione. Tra le tantissime esperienze provenienti da tutta Italia ne abbiamo scelte alcune a noi più vicine da un
 punto di vista geografico. Il Teatro dell’Arca di Forlì, l’Aster di Firenze e il Fontanateatro di Milano collaborano da
 anni nell’ambito di un progetto interregionale. Questo significa lavorare localmente e allo stesso tempo contribuire alla
 creazione di un circuito nazionale. I vantaggi consistono innanzitutto nel risparmio sui costi fissi che vengono condivisi
 ( es. laboratorio scenografico, magazzinaggio, contatti con i fornitori ); secondariamente in  una disponibilità maggiore
 di capitale da rinvestire in nuove produzioni o nelle strutture; ultimo e non meno importante lo scambio di informazioni.
 Questo senza sacrificare le specificità artistiche e culturali di ciascuno dei tre. Questo nuovo modello di stabilità
 basato sulla cooperazione ha comportato una fusione delle tre realtà locali. Diversa, ma con gli stessi obiettivi, la
 collaborazione tra il Teatro Verdi, il Teatro Blu e il Teatro della Cooperativa. I tre enti milanesi sfruttano le loro
 affinità artistiche in un quadro di condivisione di progetti comuni senza ostacolarsi sul piano concorrenziale.

Frutto di questa coesione sono ad esempio i due festival organizzati in concomitanza con la giornata internazionale della
 donna e la festa dei lavoratori. Le fondamenta di questa rete stanno nella capacità di parlarsi in fase di programmazione,
 abbattendo quel muro di diffidenza che spesso caratterizza i rapporti tra i teatri di una stessa città. Di respiro più
 ampio il progetto Teatri Possibili che si presenta come un Circuito Teatrale Indipendente comprendente teatri di diverse
 regioni centro-settentrionali. Il regista e attore Corrado d’Elia, fondatore di questa comunità artistica, elenca tra gli
 obiettivi la produzione, la diffusione e la circuitazione degli spettacoli. A livello lombardo esiste dal 2003 il FAQ 
ovvero un coordinamento formato da 13 compagnie di produzione. Il FAQ nasce dall’esigenza di confrontarsi su problemi
comuni e formare di conseguenza un fronte compatto che gestisca le difficili relazioni con la Regione Lombardia. Questi
 pochi esempi non rendono l’idea di un fenomeno che si presenta molto più eterogeneo e sfaccettato. Realtà anche molto
 diverse tra loro, come i teatri stabili e le compagnie di produzione, condividono la necessità di fondare su queste buone
pratiche un nuovo e più funzionale sistema. Per saperne di più e per tenersi aggiornati vi consigliamo i siti
 www.ateatro.it e www.olivieropdp.it Oppure potete consultare il sito www.hystrio.it, sito dedicato alla rivista trimestrale
 di teatro e spettacolo, e anche il sito di Teatri Possibili, www.teatripossibili.it. Secondo noi costituiscono un buon
 trampolino di lancio per la prossima sfida. Quale sfida? Continuare a fare un teatro di qualità nonostante gli sgambetti 
del Ministero.