FUORISCHERMO

 

IL VIRTUALE È GIÀ REALE
I tratti estremi di 300, di Zack Snyder
300 La forza dell'immagine in 300 è pari a quella dei guerrieri spartani guidati dal prode Leonida. Un'immagine che scotta, brucia, ferisce l'occhio che guarda per la sua rudezza e le inaspettate estrosità. Un'immagine che evade dallo spazio abituale, l'inquadratura cinematografica, che scavalca ogni confine spezzandosi in più parti, per giungere in nuove dimensioni, lontane e inafferrabili.
300 può essere considerato un non-film. Proprio come gli zombie, i non-morti preferiti dal suo regista Zack Snyder, che prima di confrontarsi con la letteratura pop di Frank Miller, andava a braccetto con il remake dell'Alba dei morti viventi, 300 possiede una forza maggiore in diversi aspetti. Una capacità che attinge da diversi generi, senza rimanere statico su di uno a cercare una precisa collocazione spettacolare. 300 è un non-film dal momento in cui decide di essere un prodotto in fase d'ibridazione, in continuo movimento tra il racconto metaforico di un fatto storico e la rappresentazione morale, etica, fantastica, immaginata dell'eroe spartano e dell'antieroe persiano. 300 si colloca in una categoria indefinita di spettacolo e divertimento. Un film che esaspera la finzione calibrando il ritmo della narrazione con quello della visione, riuscendo a portare all'esterno, quindi fuori, nello spettatore, l'estremo, il desiderio di comunicare solo ed esclusivamente con i contorni dell'immagine. Il non-film, proprio come lo zombie, esce allo scoperto e si fa condottiero dei valori del passato. Un non-film che mantiene tuttavia, la codificazione di buoni e cattivi, forti e deboli, giusti e sbagliati.
Ma Frank Miller, che è il vero padre di 300, e infatti il film di Snyder lo ricorda spesso, è stato pure il ri-creatore del 300 Batman che dalla fine degli anni Novanta è tornato ad emozionare e divertire con nuove storie, nere e sporche, oppure di Robocop, Dardevil e Elektra. E proprio dal mito del supereroe nostalgico e infinitamente irraggiungibile dall'umano, colpito dal passato e irrimediabilmente trafitto da conseguenze fisiche/morali si possono individuare alcuni tratti comuni a Leonida e compagni. Il guerriero, corazzato e coraggioso, questa volta non ha maschere se non quella del prode guerriero che indossa durante la battaglia. I guerrieri spartani sono guerrieri, non fanno i guerrieri. Ecco perché non si possono chiamare uomini. Loro sono non-uomini, guerrieri come zombie. A differenza degli zombie non sono ancora morti, ma vivono per morire per la patria. E' il loro destino, la loro vocazione, la strada che intrinsecamente percorrono fin da bambini e ancora prima di nascere. Sono sacrifici per la patria.
Il vero mito per Leonida, il suo punto di riferimento, dovrebbe essere Superman, versione estrema del supereroe moderno. Una creatura di un'altro pianeta che si traveste da umano per entrare nella società, senza mai smettere di indossare i panni del salvatore. Leonida è un salvatore della sua patria. Ma lui sceglie di seguire la strada di Batman, rievocando il passato, il ricordo, la verità. Il non-uomo giunto alla resa dei conti viaggia dentro sè stesso alla ricerca della verità e scopre l'amore per la sua donna, unico tassello in grado di mantenerlo in vita fino allo spegnimento, inevitabile, finale. La donna che in unico istante ricopre il ruolo dell'amata, della regina, della madre e della patria stessa, riconduce a sè il senso dei gesti del guerriero/supereroe. Un'icona anch'essa non reale, piena di finzione ma estrema e immaginifica essendo creatrice di immagini e ricordi. La sequenza finale traduce attraverso un breve flashback i pensieri dei due personaggi, materializzandoli nel saluto, estremo, ultimo e riconduce lo spettatore all'inizio della storia mettendo in chiaro le motivazioni.
Un cinema proiettato al futuro, che può sconvolgere e divertire per efferatezza e cinismo, razzismo e imbarazzanti clichè, che imbratta e rischia di offendere, che prende pupazzi al posto di attori, ma che si rivolge assolutamente al virtuale e decide di abbandonare il reale. Una sfida per qualunque spettatore, anche per il più ibrido, pulp, pop e videogiocatizzato.