FUORISCHERMO

 

ICONA DI FANTASIA E MELÒ
Angel di Francois Ozon
ERICA BUZZO ERICA BUZZO
Angel Cinque anni fa capita tra le mani di François Ozon il romanzo Angel di Elizabeth Taylor (scrittrice inglese vissuta tra il 1912 e il 1975, da non confondere con l’omonima attrice), uscito nel 1957 e ora rieditato da Neri Pozza. La storia sembra essere al regista un felice punto di partenza per far rivivere quel melò di stampo hollywoodiano fine anni Trenta e Quaranta. Ancor più in particolare, Ozon rivede nel personaggio letterario di Angel l’icona per antonomasia di suddetto cinema, Vivien Leigh, o meglio, il personaggio di Scarlett (la nostra Rossella) O’Hara del celeberrimo Via col Vento. Se dunque è il personaggio di Angel a rendere vivo il ricordo delle eroine di tanto cinema americano ed è l’universo femminile l’oggetto prediletto dello sguardo di Ozon, il soggetto della Taylor è l’occasione giusta, per il regista, per portare il grande pubblico all’interno di quelle atmosfere da melodramma, forse ormai poco sapientemente ricreate e, forse, altrettanto poco appassionatamente vissute.
Il melò. Non c’è dubbio che Angel lo sia: sullo schermo è il mondo delle passioni, dei sogni, del patetico e dell’enfatico. Si potrebbe dire che è melò ‘puro’: tutto è esagerato, dalla sostanza alla forma. Solo dire melodramma e non melò porterebbe oltre. Altri ingredienti (come i ‘veri’ sentimenti e ideali) e un’altra matrice (come il ‘vero’ storico) radicano il melodramma all’interno della grande famiglia del ‘realismo’, ma in Angel… cos’è ‘realismo’? Il personaggio di Angel domina la scena, per Ozon è importante il personaggio, non l’intreccio e non quei caratteri universali creati dall’intreccio (nel melodramma, si sa, si riconoscono sempre ruoli ben definiti, personaggi di volta in volta diversi, ma pur sempre declinati sullo stampo di caratteri universali e, si sa, è l’intreccio importante, prima dei personaggi), qui, l’intreccio viene dopo. È Angel a crear(se)lo, ad adattarlo sul proprio personaggio. Dunque, Ozon si avvicina all’irreale del melò ‘puro’ piuttosto che al ‘realismo’ del melodramma in cui un ruolo universale (come può essere appunto quella della bella ragazza da maritare), calato in un preciso contesto storico-sociale, rende equilibrata la dialettica tra platea (realtà) e palcoscenico/schermo (sogno). Qui poca dialettica ci può strare: un contesto particolare Angel non è abbastanza ‘forte’ da impedire al sogno di imporsi sulla realtà. Così dal grottesco della prima pellicola (Sitcom) attraverso il drammatico (Amanti Criminali, Gocce d’acqua su pietre roventi -rivisitazione dell’omonima pellicola dell’amato Fassbinder- Cinqueperdue e il penultimo Il tempo che resta), il giallo (Otto donne e un mistero) e il noir Swimming pool di cui, fatte le dovute (notevoli) distinzioni, Angel sembra echeggiare quell’ambiguo enigmatico (con)fondersi di realtà filmica e finzione letteraria, Ozon si sfoga nel melò ispirato dal racconto della Taylor. Certo, a ben guardare Angel, così stilisticamente lontano dalle pellicole precedenti, intesse con queste molteplici legami. Dato di fatto è la centralità del personaggio femminile nell’intera filmografia (e la predilezione per certe attrici), secondo punto importante è la rivisitazione del gioco tra realtà e non-realtà (sia essa ‘cecità’, sogno, letteratura, passato…) , terzo, strettamente connesso al precedente, la regressione. Intendendo con questa ogni processo in cui la realtà tende allo zero: si tratti di una scelta (filmica) narrativa, come in 5X2,in cui a ritroso si vive la storia di una coppia, o come ne Il tempo che resta in cui il passato ‘serve’ per avvicinarsi alla morte, di una caratterizzazione del personaggio, come in Sotto la sabbia in cui una donna non riesce a ‘vedere più’ senza il marito o come nell’ultimo Angel, in cui una ragazza non riesce a ‘vedere ancora’ senza la fantasia. Per questo, allora, anche un film così eccessivo nei toni e nei colori, così farcito di fasto e fantasia, così… ‘poco Ozon’ riesce a ricondurre alla tematica, cara al regista, dell’incapacità (impossibilità) di vivere la realtà e, dall’altro lato, alla riflessione sulla morte. Ancora legami poi con Swimming pool.
Una curiosità. Tra la lettura del romanzo e la trasposizione cinematografica di Angel, si trova Swimming pool (2003). Non è un caso dunque se la storia di una scrittrice, l’intrecciarsi di letteratura e realtà sono, in modo certo diverso, il denominatore comune dei due film. Charlotte Ramplig a parte, le due pellicole, poi, sono assolutamente estranee l’una all’altra. Laddove Ozon ha saputo affascinare con quel rigore e quella sobrietà propri dello stile registico quanto del personaggio femminile, la scrittrice di polar (Charlotte Rampling), nell’ultimo Angel l’abbandono allo smodato, esagerato, fantastico, inverosimile (da parte della scrittrice e del regista dietro al personaggio) non lascia nulla allo spettatore per ‘giocare’. Deborda a tal punto la fantasia di Angel che lo spettatore probabilmente lascia tacere la propria.
Angel Ozon guarda alla Taylor e questa, a sua volta, prende a modello per la sua Angel Deverell la scrittrice Marie Corelli, vissuta in Inghilterra a fin Ottocento (1855-1924) e, se ignorata dalla critica del tempo, conosciuta tanto alla corte della regina Vittoria come tra i più poveri. Marie Corelli, oggi perfetta sconosciuta, è dunque il modello reale della Angel Deverell prima letteraria (1957) poi cinematografica (2007). Angel dunque è la ricostruzione dell’ascesa al successo e poi della rovina di una scrittrice nell’Inghilterra d’inizio Novecento.
L’ ‘inganno’ del mascherare-smascherare realtà filmica e letteratura, film e realtà ‘vera’ non trova spazio (ma nemmeno tempo), la realtà non esiste perché Angel la disconosce. Il film è così tutto (s)bilanciato sulla fantasia: la fantasia fagocita la realtà, ad ogni costo per ogni ragione. Una fantasia così ‘cieca’ che si potrebbe dire, mutuando il detto (anche se poi l’originale ‘arte per amore dell’arte’, non stonerebbe poi tanto – con tutto rispetto per i ‘veri’ esteti), ‘fantasia per amore della fantasia’. Tutto ruota intorno a questa, ma… che cos’è un film che corre dietro alla pura fantasia, alla fantasia di un personaggio però (e non all’estro registico)? Che significato acquistano quelle immagini che altro non sono se non la rappresentazione di un sogno… un sogno che si può già immaginare dai primi minuti e ‘vecchio’ quanto più esserlo la più antica favola della ragazza povera che sogna di essere una ‘principessa’? Ma fin qui forse nulla di irreparabile. Basta però regalare ‘quel’ sogno a ‘quel’ personaggio e il film crolla.

…se la protagonista fa cadere il film, oltre alla fantasia.
Inghilterra, primi anni del Novecento. In un sobborgo povero di Londra, Angel (Romola Garai), rinnega le sue umili origini, del padre droghiere (ormai morto) porta vergogna, della madre non sembra avere alcuna stima, dei concittadini dice che sono tutti stupidi e malvagi. Così, rifugio dalla realtà, dalle tristi strade grigie di provincia, è il mondo della fantasia. Angel Fantasia fuori dal comune per una ragazzina (tanto che a scuola è accusata di copiare i temi da Dickens, mentre l’editore Théo Gilbright (Sam Neill) immagina Angel Deverell sia uno pseudonimo) ma pari a quell’arroganza che (forse) la porta lontano dalle simpatie del pubblico, molto molto vicino però a quell’ “apice della gloria e della fama” tanto sognato. Orgogliosa di se stessa, sicura delle proprie capacità (nessuna delle due ‘stupide’ modifiche è disposta a fare), supponente (pensa di aver comunque molte possibilità con gli editori) e sfacciata (basti la cena a casa dell’editore, in presenza della moglie) Angel trionfa. Lady Irania, il primo romanzo, è un successo, tanto da adattare il racconto per una piéce teatrale, poi altri successi presto arrivano. In funzione di questi Angel inizia a vivere. O meglio, il successo paradossalmente non è nemmeno una ragione per scrivere, una volta avuto è per sempre. Nessuno sforzo creativo e nessuna incertezza la mettono in discussione: una volta comprata la casa sempre sognata, Paradise House, il timore iniziale di rimanere sconosciuta come per magia svanisce perché… magicamente la favola si è fatta reale. Preoccuparsi per il successo non ha senso, è scontato: basta prendere carta e penna e lasciare che la fantasia prenda la forma delle parole. Tutto ciò che conta è mantenere questa favola fattasi realtà, assicurare che l’immaginario ha il suo corrispettivo reale e, ancor più, adattare la vita secondo le esigenze della fantasia. Insomma, Angel imbriglia la vita (sua e non solo) con i fili della fantasia per finire con gli occhi bendati da questa e la vita non più tra le mani. Avere successo è per Angel un facile gioco da vincere, è solo il modo più sicuro, il mezzo più veloce per fare della fantasia la vita reale. Letto così, è chiaro che Ozon creda nella validità attuale di una denuncia del successo facile ed esplosivo. E a corroborare lo sguardo del regista sul ‘pericolo’ dei sogni troppo velocemente realtà ci pensano le parole di Hermione (Charlotte Rampling), la moglie di Théo: “Detesto la scrittrice ma ammiro la donna”… peccato però che la donna si scopra toppo tardi. Il rapporto tra i due personaggi, Hermione e Angel, trova matrice reale nel rapporto tra le attrici, Charlotte e Romola, e Angel la motivazione del regista forse è lo spunto più ‘interessante’ di tutto il film. “In Angel ho voluto suggerire in trasparenza, al di là, dei personaggi, la situazione di una grande attrice-icona che osserva con ironia l’esordio di una giovane protagonista, Romola Garai.” Ecco allora che lo sguardo critico di Charlotte non può riflettere se non quello del regista, entrambi si distaccano dal personaggio ma entrambi mantengono uno sguardo benevolo, quasi compassionevole. E allora perché così poco spazio per Hermione? Perché non una maggiore attenzione a questo rapporto, alla ‘donna’ Angel, appunto, e un po’ meno alla scrittrice ‘detestabile’?
La scrittrice diventa un personaggio delle sue stesse storie ed Angel lo sapeva “…nulla di quello che mi sta accadendo mi sembra reale e un giorno potrei finire di crederci io stessa.”. Angel finisce col credere che il sogno debba ad ogni costo vivere, e in nome di questa ‘vita di sogno’ piega ogni ‘sentimento’. Sentimento? Forse non si può dire… l’amore, il matrimonio sembrerebbero più una recita per sostenere la favola. La facilità con cui dimentica la madre prima, il marito poi, la prontezza con cui ‘rivisita’ la vita del defunto secondo la menzogna che più si avvicina alla ‘realtà’ (sua), ovvero alla sua fantasia, la cecità di fronte ad una guerra che odia solo perché costringe il marito Esmé (Michael Fassbender) a lasciarla e perché è stata la causa della loro prima lite… sono solo alcuni esempi per domandarsi se era ‘necessario’ accompagnare con tutto questo cinismo la storia di una ‘dittatura dei sogni’. Se l’irreale non può, gratuitamente e significativamente insieme, stare sullo schermo (pena l’irrisione, l’incomprensione, la noia, il fastidio…il puro onirismo), identificarlo in un personaggio così ruvido e ruffiano che significa? Eloquente simbolo degli attuali ‘trionfatori’ (sempre pensando ad Angel come camuffata denuncia)? O è erroneo vedere in Angel un tale personaggio?
Se è vero che Ozon, rispetto alla Taylor, adotta uno sguardo meno ironico sul personaggio, perché, dice: “Non è possibile Angel seguire per due ore un personaggio solo ironizzando su di lui. È importante anche esserne affascinati. Scarlett O’Hara è la protagonista a cui ho pensato. Come dicono gli inglesi ‘la ami e la odi allo stesso tempo’”…dove guardare per cercare di ‘amare’ Angel? Davvero può ispirare simpatia, compassione o quanto di più simile? Forse ancora una volta conviene adottare le parole di Hermione (“Detesto la scrittrice ma ammiro la donna”) e lasciare che Ozon giochi con il melò e che poi ciascuno vi legga la ‘morale’ che vuole…o appassionarsi al melò e viverlo per quello che è.
Appassionare con il melò? ‘Denunciare’ attraverso il melò? Non saprei… Angel è un personaggio così antipatico e la ‘denuncia’ è così poco acuta che si stenta a seguire quella o questa. L’inverosimiglianza del contenuto unita all’arroganza di un personaggio può ‘dare fastidio’, se poi la banalità della storia è trattata insieme ad un’accurata ricostruzione storica di ambienti e costumi ci si insospettire. O il regista è ‘furbo’ (e non si ‘fa capire’ – almeno non immediatamente) o è ‘coraggioso’ (e osa combinazioni che ‘ingannano’). Ozon è certo coraggioso, ma nel senso che sa abilmente muoversi tra i ‘trucchi’ del linguaggio cinematografico. Ha toccato più generi e se di volta in volta ha avuto successo significa che lo sguardo di regista, la capacità visiva e narrativa non hanno tradito il sentimento di ciascuna pellicola. Angel, un melò, si è detto e per ciò che riguarda fotografia, (ri)costruzione formale, musica è curato ed Ozon non si tradisce, ma poi…‘troppo’ pieno di oggetti, di colori, di fantasia, di arroganza, di sfrontatezza, di prepotenza. È enfatico perché è ingorda Angel, è patetico per l’egoismo capriccioso della ragazza, drammatico perché la tristezza e il disagio di Angel rimangono sempre più credibili di tanta esuberanza che invano cerca di camuffarli, ma tutta questa ‘carica’ sboccia in qualche sentimento? Angel è affezionata o si affeziona a qualcuno? Rinuncia alle sue fantasie per amare veramente? Non sembra…
Semmai il contrario, tutto muore in nome dei suoi sogni. Ogni sguardo sul mondo è intrappolato in un piacere Angel autoreferenziale e congelato nelle forme del suo immaginario. Dunque, se melò dev’essere, Angel lo riempie di un pathos tanto irriverente quanto sgradevole, sempre più monotono e scontato da finire in un accumulo ‘noioso’ di egocentrismo, mentre di sentimento ben poco.
“I miei sogni erano bugie perché esprimevano a voce cose che avrei dovuto tenere segrete” dice Angel ricordando ciò che le ripetevano ed Angel invece “…desideravo, desideravo fino a che si avverassero”. Tanto ha desiderato che la principessa dei suoi sogni prende vita, Angel diventa il personaggio delle sue favole, la realtà una materia bruta da modellare, o meglio su cui modellarsi, scacciando ciò che di più crudele ci può essere in un sogno fatto realtà: la paura che svanisca. Camaleontica, menzognera, ruffiana, egoista…fragile e profondamente sola è Angel. Lusinga Esmé. Pittore di soggetti tristi e cupi, non ama i colori “Non posso dipingere l’Italia: ha troppi colori”, dice. Ed Angel di seguito “C’è qualcosa nell’Italia che tira fuori tutta la volgarità che c’è in noi”. Divorata dalla fantasia, rinnega il suo ‘mondo’ a colori, pur di compiacere il pittore (e cosa sarebbe poi il ritratto se non puro (auto)compiacimento?). Lo lusinga fino non accorgersi di umiliarlo (presentando il ritratto in un gran gala), fino poi a chiedergli di sposarlo (…e la favola, qui, non si capovolge?) e coronare anche il sogno di sposa. Lusinga poi Nora (Lucy Russel), sorella di Esmé, scrittrice anche lei, di poesie, grande ammiratrice di Angel. Ed Angel allora non manca di farle credere che le sarebbe sempre piaciuto avere una sorella come Nora, e Nora in effetti sarà l’unico personaggio che metterà quel poco di sentimento sparso qua e là nel film.
Schiava dei propri sogni, sempre più intestardita nel far combaciare sogno e realtà, vede d’un tratto la realtà scollarsi prepotentemente dalla sua volontà. La guerra, la gravidanza, il poco successo dell’ultimo libro, di cui il pubblico non apprezza il pacifismo. La realtà ‘crudele’ non sta più al suo gioco. Ancora una volta sono esemplari le parole di Angel Hermione “… malgrado il cattivo gusto, le assurdità, ha lottato per i suoi sogni, per quello che voleva persino per l’uomo che amava”. Nel momento in cui Angel ha poco successo, quasi prova pietà per la ragazza e ne ammira, invece, il coraggio. Ora però, che Angel abbia fatto di tutto perché il sogno si avverasse va bene, ma…la lotta e il coraggio non saprei precisamente dove rinvenirli… se non nel coraggio di mentire e manipolare. Amabile e amorevole nella misura in cui quell’amore (ricambiato) le fa sentire di vivere il sogno. Muore quell’amore, se ne fa vivere un altro nel bisogno incoercibile di questo sentire: comunque la favola va vissuta. Ma è sempre più difficile… la vita non è letteratura e la realtà non è controllabile come un sogno ad occhi aperti. La scoperta del tradimento sarà l’ultimo strappo con cui Angel dovrà confrontarsi. Ma la realtà qui la uccide, Angelica (Jemma Powel), l’amante di Esmé, era la ‘vera’ ragazza nobile che abitava a Paradise House. Il sogno-realtà (tutto suo) di una volta non può che crollare. Si è costruita una realtà ‘finta’ per scoprire che questa non potrà mai essere forte quanto la ‘vera’ realtà. Solo in preda al delirio, chiede a Nora “…pensi che la mia vita sia stata tutto un sogno, che non ci sia stato nulla di reale?” e l’amica (forse la ‘vera’ sognatrice, colei che sa distinguere il confine tra sogno e realtà, consapevole che, a volte almeno, conviene lasciare i sogni sogni perché siano eterni) risponde che è stata una grande scrittrice. Nora è stata davvero l’unica persona ad amarla ed apprezzala (tardi se ne accorge Angel). Angel muore, ma nessun funerale, nessun gran discorso pubblico. Muore nell’anonimato. Sotto la neve solo Nora e l’editore Théo (forse altra persona che l’ha saputa apprezzare) e quando questo le propone di scrivere lei qualcosa in memoria di Angel, Nora risponde “…la vita? Quale vita? La vita che ha vissuto o la vita che ha sognato?”.
Angel ha rinnegato le sue origini, il suo mondo reale, e facilmente anche i suoi sogni per finire…rinnegata da molti, compatita da due…amata da qualcuno? Comunque, il cerchio con Marie Corelli sembra chiuso.