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APPUNTI VENEZIANI 2007
 
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IL SECONDO RUGGITO DI ANG LEETUTTI I VINCITORI
 
 
Ang Lee si aggiudica il Leone d’Oro della Mostra di Venezia. Dopo il successo con Brokeback Mountain, il regista taiwanese vince il prestigioso premio con Lust, Caution. E’ stata proprio una Mostra piena zeppa di sorprese, dall’inizio alla fine. Mentre tutti dicevano barca, il Lido premiava mela. Tradotto meglio, Kechiche si deve accontentare del Premio Speciale della Giuria addirittura a ex-aequo con I’m Not There di Todd Haynes e Haggis rimane a bocca asciutta. La Blanchett e Pitt vincenti ma assenti, non come la dolce e brava Hafsia Herzi vincitrice del Premio Marcello Mastroianni come migliore attrice emergente. De Palma conquista la regia per Redacted e Laverty la migliore sceneggiatura per It’s a Free World di Loach. 
Tra le note positive c’è il fatto che La zona di Plà si sia aggiudicato il Premio De Laurentiis come migliore opera prima. Un premio che dà a questo coraggioso e spiazzante film qualche speranza in più in termini di distribuzione italiana. Ecco un riassunto di tutti i premi. Quelli veri.  
- Leone d'Oro per il miglior film
LUST, CAUTION , di Ang Lee 
- Leone d'Argento per la migliore regia
BRIAN DE PALMA , Redacted 
- Premio Speciale della Giuria
I'M NOT THERE di Todd Haynes e LA GRAINE ET LE MULET  di Abdellatif Kechiche 
- Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile
BRAD PITT , The Assassination of Jesse James 
- Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile
CATE BLANCHETT , I’m Not There di Todd Haynes 
- Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente
HAFSIA HERZI , La Graine et le mulet di Abdellatif Kechiche 
- Osella per il miglior contributo tecnico
RODRIGO PRIETO  per la fotografia di Lust, Caution  di Ang Lee 
- Osella per la migliore sceneggiatura
PAUL LAVERTY  per It's a Free World... di Ken Loach 
- Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis
LA ZONA , di Rodrigo Plà 
- Leone d'Oro Speciale per l'insieme dell'opera
12 , di Nikita Mikhalkov
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I PREMI DI FUORISCHERMO
 
Solo nella serata di sabato si conosceranno i vincitori della 75ma Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, la migliore tra quelle finora dirette da Marco Muller per qualità di film e presenza di star. Ecco la personale classifica di chi la Mostra l’ha vissuta in lungo e in largo, più dentro (le sale) che fuori (tutto il resto, dalle feste alla spiaggia). Con molte probabilità questa speciale classifica non ci azzeccherà molto con quella ufficiale e proprio per questo non va presa come un pronostico.
 VENEZIA 64
 
 - Leone d'Oro per il miglior film
 LA GRAINE ET LE MULET, di Abdellatif Kechiche
 
 - Leone d'Argento per la migliore regia
 PAUL HAGGIS, In the Valley of Elah
 
 - Premio Speciale della Giuria
 REDACTED, di Brian De Palma
 
 - Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile
 TOMMY LEE JONES, In the Valley of Elah
 
 - Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile
 TANG WEI, Lust, Caution
 
 - Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente
 HAFSIA HERZI, Le Graine et le mulet
 
 - Osella per la migliore sceneggiatura
 WES ANDERSON, The Darjeeling Limited
 
 - Premio speciale Fuorischermo (i film non in Concorso che hanno stimolato o sconvolto la visione)
 LA ZONA, di Rodrigo Plà
 GRUZ 200, di Alexey Balabanov
 NON PENSARCI, di Gianni Zanasi
 
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NONA GIORNATA - 7 SETTEMBRE
 
 
Manca poco e si sapranno i vincitori della 75ma Mostra del cinema. I pronostici si sovrappongono mentre gli ultimi film 
vengono proiettati nelle sale. E anche l’ultimo giorno, la Mostra, ha qualcosa da dire e non smentisce il suo carattere 
spettacolare e sorprendente. Gli ultimi tre film hanno offerto tre sorprese gradite, a partire da 12  di Nikita
 Mikhalkov, Leone d’Oro nel 1991 con Territorio d’amore. Interamente ambientato all’interno di una palestra scolastica il
 film del regista russo crea una variazione al film di Lumet, La parola ai giurati, collocandolo nella Cecenia attuale,
 materializzando paure e angosce di un popolo caduto in una tragedia da cui è difficile rialzarsi. I dodici personaggi,
 giurati che devono scagionare o condannare un ragazzo accusato di omicidio, conducono lo spettatore a scoprire dodici
 piccole verità (quelle della loro vita) che raccontano le sfumature e le contraddizioni della verità/attualità e del
 passato. Ricordi, riflessioni, accuse che rimbalzano da un volto all’altro forti di una regia che sembra rimanere spompata
 soltanto nel finale, dove pare un po’ narcisista. 
  
Del film egiziano di Youssef Chahine, Heya fawda (Chaos) , si può solo rimanere a bocca aperta. Avendo l’occhio poco
 vicino al Cinema egiziano sono sorte diverse perplessità. Tipo, come potrà essere accolto un film sulla corruzione in
 Egitto, che a quanto pare è corrotto fino al collo (stando alle parole di Chahine, i giovani dovrebbero andarsene
 dall’Egitto per non farsi coinvolgere nella corruzione)? Quanti generi il regista era riuscito a mettere insieme con
 questo divertente/tragico melodramma contemporaneo? Quanto cinema si respira durante la visione senza accorgersene? E’
 un b-movie o qualcosa d’altro (in meglio ma anche in peggio). Insomma Chaos colpisce, in tutti i sensi. 
  
Poi è successo di condividere la visione di Ano Una  di Jonas Cuaron con Alfonso Cuaron, padre del giovane e
 brillante regista di questa interessantissima opera presentata nella Settimana della Critica come evento speciale. Un 
collage di fotografie digitali montato come in un film, scorre armonioso su una sceneggiatura molto intelligente e mai
 banale. Un’esperienza molto stimolante per gli occhi e anche per le emozioni. Un esperimento riuscito che racconta 
l’amore da un punto di vista, ancora una volta e per fortuna, diverso. 
  
E infine, come quarantesimo film di questa Mostra, la piacevolissima visione di Non pensarci  di Gianni Zanasi,
 inserito nelle Giornate degli Autori (anche se Zanasi non si può certo definire esordiente, visto che questo è il suo
 quinto film). Strepitoso Mastandrea e tutto il resto del cast con Anita Caprioli e Batiston tra gli altri. Un piccolo
 gioiellino che mescola gag, humor nero, riflessioni sul lavoro, la famiglia e l’Italia di oggi senza essere patetico,
 nostalgico, pedante o fasullo. L’ultima visione.  
Domani e domenica forse no, ma già lunedì si parlerà di altro. 
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OTTAVA GIORNATA - 6 SETTEMBRE
 
 
Il giorno del potere alla fantasia con premiazione finale al grande Tim Burton si è concluso con il film a sorpresa Mad
 detective  di Johnnie To. Il travolgente e surreale racconto dell’ispettore in grado di scoprire i criminali 
ricostruendo le scene del delitto con la mente e delle sue visioni demoniache, ha divertito parecchio. Mito vivente in
 Giappone, Johnny To è quasi sconosciuto in Italia nonostante una produzione molto interessante e non banale. Perché?
  
Ma poi, il giorno dopo Tim, la Mostra è rientrata nella normalità. Nel bene e nel male. Dopo il pittorico e onirico
 Nightwatching  di Peter Greenway, regista dall’enorme talento che racconta con plasticità ed emozioni cariche di
 luce e colore alcuni frammenti della vita di Rembrandt, le proiezioni sono continuate con il film di Vincenzo Marra,
 L’ora di punta . Due visioni particolari che diversamente hanno stimolato la curiosità e lo sguardo. La prima perché
 ha espresso con freschezza e una raffinata ricerca sull’inquadratura e sullo spazio scenico, l’essenza dell’animo di 
Rembrandt e della sua pittura. La seconda perché ha affrontato con intelligenza un tema tanto attuale quanto scomodo come
  
 la corruzione. Il terzo film italiano in concorso, tuttavia, non è stato accolto positivamente come quello del regista 
gallese. Nonostante alcune perplessità evidenti che hanno lasciato scrittura e messa in scena, il film di Marra sembra
 sposare, coerentemente, un atteggiamento intellettuale onesto, permettendo al film, non certo travolgente, uno svolgimento
 più sincero di tante altre produzioni di questo tanto attaccato (a volte gratuitamente) cinema italiano. Certo, non può
 esserci ogni anno un Crialese che lascia tutti a bocca aperta.  
Tra una discussione e l’altra, visioni e conferenze, manca davvero poco al termine dell’edizione numero sessantaquattro e
 ancora non si sa come andranno a finire le cose. In molti dicono Kechiche. Vedremo. Comunque, questa sera niente film in
 concorso, domani gli ultimi due squilli: 12 di Mikhalkov e Chaos di Chahine. Stasera, invece, una chicca d’animazione:
 Putiferio va alla guerra, film del 1968 di Roberto Gavioli. Unico e piccolo spiraglio animato della Mostra insieme a 
Nocturna di Garcia e Maldonado e a Jack Skeleton.
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SETTIMA GIORNATA - 5 SETTEMBRE
 
 
Guardando Tim Burton negli occhi ho visto, prima di tutto, i suoi occhiali neri e grossi. Ascoltando le sue parole ho
 avvertito, prima di tutto, la sua intenzione di ringraziare sinceramente tutti quelli che lo stavano applaudendo in sala
 conferenze. E il resto lo racconterò in un altro momento, forse. Comunque questo 5 settembre 2007 resterà una giornata
 indimenticabile non solo per chi, come me, qui si sente e si dimostra un pivello (anche se essere un pivello garantisce
 ancora una buona dose di emozioni che altri non possono provare più), ma anche per il Cinema, la Mostra e per Muller che
 rendono omaggio ad uno dei più grandi artisti dell’epoca contemporanea. Per la cronaca il Tim Burton’s day ha dato un
 assaggio del nuovo Sweeney Todd e la visione in 3-D di The Nightmare Before Christmas. 
  
Parentesi burtoniana aperta e chiusa. La Mostra, a due giorni dal termine, insiste nel chiedersi quale sia la missione del
 cinema contemporaneo e i registi provano a rispondere a loro modo. La missione del cinema di Amos Gitai, ad esempio, è
 quella di raccontare la realtà e l’attualità passando attraverso l’esperienza umana, la natura della propria identità, lo
 sguardo e il dolore delle donne, lo sconfinamento di barriere più o meno esistenti. Dopo gli ultimi Promised Land e Free
 Zone il regista israeliano offre una nuova variazione ai temi a lui più cari con Disengagement , film che racconta
 il lungo viaggio di una madre (Juliette Binoche) dalla Francia fino a Gaza per incontrare la figlia da cui si è separata
 alla nascita. Un nuovo racconto carico di disperazione in grado di cogliere le sfumature più intime e vere dell’animo
 umano, e che, come sostiene Gitai stesso, cerca in tutti i modi di far leva sullo strumento cinema per raccontare la
 verità così difficile da cogliere e comprendere. 
  
Anche il film di Sabina Guzzanti, sulla carta, avrebbe potuto raccontare la realtà e far vedere la verità. Ovviamente con
 tonalità e su sfondi culturali diversi, ma il suo Le ragioni dell’aragosta , presentato nelle Giornate degli Autori,
 oltre che a mancare di mordente, provoca poco e sembra essere la versione più stanca e più noiosa di W Zapatero. Un falso
 documentario che lascia non poche perplessità e interrogativi. 
  
C’è poi chi come Miike Takashi che risponderebbe al quesito con un sorriso, alzando un poncho e tirando fuori dal suo
 cinturone di cuoio un paio di bacchette per cibarsi e un ventaglio. Così tanto per rimanere in tema del suo divertente e
 citazionista Sukiyaki Western Django , rilettura dello spaghetti western e del cinema di spada giapponese. Le gag non
 mancano, Tarantino fa ridere nei panni di un improbabile, ma convincente cowboy, ma poi tutto si risolve in un gozzoviglio
 di spari, uccisioni ed esplosioni.  
Alla Mostra che celebra la fantasia di Tim Burton mancano pochi giorni per passare agli archivi ed essere ricordata come la
 migliore (forse) organizzata da Muller. Dopo le celebrazioni (consegna il Leone d’Oro l’amico Johnny Depp), il concorso
 riprenderà in serata con il film a sorpresa di Johnny To. 
 Domani Greenway, Marra, Demme e quel che resta di una Mostra finora, molto cinematografica.
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SESTA GIORNATA - 4 SETTEMBRE
 
 
Nella Mostra dominata dagli uomini (mossa audace perché di solito sono più le fan che i fan) brilla di luce propria la
 stella di Cate Blanchet, squisita nei panni di uno dei tanti Bob Dylan disegnati da Todd Haynes in I’m Not There .
 L’attrice (non presente però al Lido) incarna la maschera più affascinante e contraddittoria del mitico cantante e
 rappresenta il lato drammatico, dannato e squilibrato del profilo multiprospettico voluto dal regista. Nel gioco di
 incastri e sovrapposizioni, si alternano le diverse dimensioni attraversate da Dylan nel corso della sua carriera ma i
 riferimenti al mito sono talmente tanti che a volte è faticoso mantenere il filo di un discorso così complesso. Haynes
 però va preso così. Anche quando manca un preciso equilibrio e un forte riferimento. Le sue forme sono ammalianti, il suo
 cinema intelligente, creativo e profondo e l’alternanza di punti di vista nel racconto sposa a meraviglia le scelte di 
questa Mostra. Soderbergh qui produce e il gusto per la sperimentazione non manca decisamente.
  
Lee Kang Sheng attore feticcio di Tsai Ming-liang che qui a Venezia lo scorso anno aveva portato l’estremo I Don’t Sleep
 Alone, ha presentato in concorso la sua opera prima Help Me Eros , viaggio nell’eros e nella solitudine umana. Dal
 suo ispiratore, l’attore/regista cinese prende le lunghe inquadrature fisse (pochissimi movimenti di macchina) e i lunghi 
silenzi. Un film che si muove sui riflessi e le immagini provocate da strumenti e oggetti esterni, che racconta il corpo
 come veicolo degli istinti e non dei sentimenti. Un buon esordio che lascia comunque non poche perplessità  sia dal punto
 di vista narrativo che dal punto di vista delle scelte cinematografiche. Comunque le probabilità di vederlo in Italia sono
 praticamente nulle. 
  Il dolce e l’amaro  di Andrea Porporati, invece, sposa un’altra tendenza della Mostra, cioè quella dell’espiazione. Il
 secondo film italiano presente in Concorso oltre a far leva su di un cast importante con Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni
 e Donatella Finocchiaro, dimostra di sapersi muovere con una buone dose di equilibrio e onestà nonostante rappresenti una 
nuova pagina italiana sull’Italia e la mafia. Il Saro di Lo Cascio è un personaggio dannato in cerca del suo passato ma
 soprattutto di un nuovo futuro. In sintesi un uomo che apre gli occhi sulla propria esistenza. Buoni propositi e buon
 ritmo per un film che porterà al cinema una buona fetta di pubblico nostrano. L’unico dubbio resta sulla distribuzione.
 Perché vietarlo ai 14? Lo stesso Letta, in conferenza stampa, parlava di progetti indirizzati alle scuole. L’intruso non 
capiva. 
Questa sera Disengagement di Amos Gitai, Fuori Concorso, Le ragioni dell’aragosta di Sabina Guzzanti per le Giornate degli
 Autori e il film di Miike Takashi, Sukiyaki, Western Django, per il Concorso ufficiale con comparsata di Tarantino.  
Domani Burton.
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QUINTA GIORNATA - 3 SETTEMBRE
 
 
Il delirio indiano di Wes Anderson nel suo ultimo The Darjeeling Limited  ha scaldato gli occhi e gli umori degli
 spettatori veneziani. Non è un caso che proprio nell’anno del Leone d’Oro alla carriera a Tim Burton, il regista di Houston
 sia stato inserito nel Concorso ufficiale della Mostra. Anche se lontane anni luce, le idee di Cinema dei due registi
 sembrano intrecciarsi di continuo. Due genialità diverse, che nutrono sembrano nutrire lo stesso desiderio di cinema
 dedito a far viaggiare con la fantasia, l’assurdo, il surreale, il grottesco, lo spaventoso, gli occhi dello spettatore.
  
 Anticipato dal gustosissimo e indimenticabile cortometraggio Hotel Chevalier con l’attore feticcio Jason Schwartzman e la
 new entry Natalie Portman, The Darjeeling Limited è un road/train movie nel quale tre fratelli (Schwartzman, Wilson, Brody,
 strepitosi) si incontrano per ritrovare la propria madre. Il cinema di Anderson è la nuova comicità creata da chi la
 comicità è riuscito a riscriverla fin dagli esordi, riuscendo sempre a mescolare tocchi di nostalgia, citazionismo,
 nerissimo sapore di morte. Anderson ricorda per certi versi Landis, per altri Reitman (signor Wes, ha mai pensato di fare 
il remake di Ghostbusters, con questi tre?), per altri ancora nessuno oppure proprio Burton, e anche se a volte è 
autoreferenziale, chissenefrega. Nel 2009, comunque, uscirà l’attesissimo The Fantastic Mr. Fox, film d’animazione estratto
 dal cappello magico di Roald Dahl. Affinità di gusti.  
  
Poi di lunedì arriva alla Mostra Abdellatif Kechiche regista dell’ottimo La Schivata. Il suo La Graine et le mulet ,
 terzo lungometraggio dell’artista franco algerino, ha ancora i toni disperati e graffianti dei suoi esordi. Riprese a mano,
 incroci famigliari, dialoghi roboanti e musiche dal ritmo afro/palpitante. La relazione è il fulcro del suo cinema e qui
 assume virate improvvise e spiazzanti. 
  
 Poi tocca al cinese Jiang Wen con il suo The Sun Also Rises , brillare negli occhi degli spettatori. I colori e le
 invenzioni del regista cinese sono una sorpresa per chiunque, e compiere una zoomata su un tipo di cinema così, resta una
 rivelazione, una novità assoluta sempre.  
Non poteva mancare, nell’anno di Burton, l’esordio dietro la macchina da presa del suo ultimo sceneggiatore di fiducia,
 John August con The Nines , inserito nella Settimana della Critica. La curiosa creazione basata su colpi di scena,
  
 punti di vista che si accavallano, interferenze e contaminazioni visive è una mescolanza di surrealismo virtuale che 
potrebbe anche arrivare sugli schermo italiani.  
Questa sera c’è Todd Haynes, l’atmosfera di Bob Dylan e il cast incredibile di I’m Not There . Dopo è tutto 
un’interrogativo. Cosa succederà? Le cartucce migliori, forse, sono state sparate. Intanto si aspetta con desiderio il
 Tim Burton’s Day, mercoledì 5 settembre.
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QUARTA GIORNATA - 2 SETTEMBRE
 
 
In attesa di Allen La zona  di Rodrigo Plà, piccolo grande film inserito nella sezione collaterale delle Giornate degli
 Autori, sconvolge tutti nel tardo pomeriggio di sabato. Il film ha tutte le carte in regola per essere etichettato come una
 delle rivelazioni di questa Mostra del Cinema. Ritmo sigillato come il quartiere/location della vicenda, sceneggiatura
 avvincente e regia senza troppi fronzoli con virate al noir, all’horror, all’action movie sono la forma di un contenuto
 spiazzante e carico di significato. La paura di chi si nasconde e quella di chi fugge e pensa di cavarsela da solo. 
  
Poi arriva il momento di Woody. E il suo nuovo film londinese offre una variazione al tema colpa/rimorso. Cassandra’s 
Dream , con la coppia di fratelli Mc Gregor-Farrel, anche se non inserito in Concorso, è sembrato uno dei migliori film
 visti fin’ora. Certo, a volte il giocattolino sembra lo stesso di Match Point, eppure la scrittura di Allen raggiunge i
 toni raffinati e pungenti di sempre, gli attori sono al top e tutto ciò che insegue o s’aggrappa al sogno di Cassandra
 assume un fascino perverso, ombroso, disperato. 
  
L’altro maestro inserito nella sezione Fuori Concorso è stato Claude Chabrol, con La Fille coupée en deux  nel quale
 spicca l’intrigante e sensuale Ludivine Sagnier (sempre più brava, e bellina). Sfumature rosanero con tocchi di ironia si
strusciano abilmente su di una scrittura brillante e fresca, fatta di equivoci, sorrisini, incastri, fregature. I colpi di
 scena non mancano, ma non sono gli unici che fanno spiccare il volo al film. Divertente e sconsolato. 
  
Il Concorso torna di moda nella tarda mattinata di domenica con il bandit-movie di Andrei Dominik The Assassination of
 Jesse James by the Coward Robert Ford  con Brad Pitt e Casey Affleck (grande prova la sua). Un racconto spietato e duro
 alla scoperta di ciò che spinse il fanatico Robert Ford all’uccisione del bandito Jesse James, da tutti temuto e amato per
 la sua efferatezza. Una tragica (e infinita) vicenda fatta di lunghe panoramiche, virate malinconiche, pistole e
 scorribande feroci, che nonostante l’attesa (soprattutto delle fan di Brad Pitt) non ha esaltato particolarmente i palati
 del pubblico. Gli applausi, comunque, non sono mancati. 
  
L’ottimo esordio di Andrea Molaioli con La ragazza del lago , fa ben sperare chi cercava risposte italiane. Forte di
 un cast che vanta Toni Servillo, Fabrizio Gifuni e Valeria Golino tra gli altri, il film ha sicuramente convinto e 
entusiasmato. Il giallo costruito perfettamente sulla figura di Servillo-detective è tratto da un romanzo norvegese (Il
 corpo di uno sconosciuto di Karin Fossum) e vista la tensione narrativa, l’abilità di ripresa, la scrittura di Petraglia
 molto convincente e puntuale, c’è da chiedersi fin dove potrà arrivare questo film.  
Questa sera c’è Wes Anderson. Domani Kechiche, Jiang Wen e Haynes.
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TERZA GIORNATA - 1 SETTEMBRE
 
 
Il tema centrale della Mostra vista fin'ora pare essere l'alternanza dei punti di vista. Aspetto molto importante se si
 pensa che offre diverse interpretazioni. Una potrebbe essere quella che vede il cinema protagonista di un discorso che
 vuole sottolineare, più o meno sottovoce, il valore del pluralismo o la pericolosità dell'abbondanza di informazioni. C'è 
pure il discorso di come tali informazioni vengano gestite dall'uomo e di come vengano comunicate, manipolate, mostrate
 dall'uomo o dai media (che rappresentano, di fatto, l'uomo). A questo proposito è stata esemplare la visione di In the
 Valley of Elah  di Paul Haggis che affronta il tema della guerra in Iraq, come Redacted di De Palma, declinandone però 
nuove questioni e nuove conseguenze. I film di De Palma e Haggis sono quindi due valori aggiunti di un cinema, quello
 hollywoodiano, che in questo momento sta decisamente trovando una nuova collocazione, molto più consistente e convincente
 addirittura del post 11 settembre. Un cinema che s'interroga, accusa e che fa vedere. Immagini che raccontano le
 conseguenze della guerra dentro e fuori dall'Iraq, dentro e fuori dagli Usa. Un cinema che ha dovuto assimilare e capire
 col tempo cosa stesse succedendo prima di portare avanti certi discorsi. Haggis dimostra, anche dopo Crash (2005) di
 essere un grande sceneggiatore di sé stesso (anche se come regista strizza sempre l'occhiolino a Eastwood) e ha il merito
 di aver amalgamato un cast notevole dal quale spicca uno strepitoso Tommy Lee Jones (Charlize Theron e Susan Sarandon
 completano).
  
A proposito di pluralismo è stato purificatorio l'incontro con l'ultimo film di Eric Rohmer Les Amours d'Astree et de
 Celadon . Una visione quasi rivelatrice dopo il mare di innovazioni e sperimentazioni americane. Rohmer, si diverte a
 raccontare l'ennesima variazione sull'amore allestendo un classico e fresco dipinto di metà seicento (il film è tratto dal
 romanzo "L'Astrea" del 1627). Montaggio morbido, quadri al posto di inquadrature, i volti di velluto che ammiccano,
 equivoci e riprese al servizio di una natura che esprime tutto il senso del film. Un cinema che fu, ma che, a quanto pare,
 è ancora presente e necessario. Punti di vista, giusto? 
  
Come quello di Ken Loach, che è sempre quello, ma ogni volta indispensabile. It's a Free World…  racconta il lavoro
 come necessità, non come vocazione, la società come giungla che schiaccia, la coscienza che spinge alla sopravvivenza e i
 diritti e i doveri ridotti a domande senza risposta. Loach, quindi, si dedica al racconto dell'altra sopravvivenza, quella
 che deve affrontare l'uomo contemporaneo coinvolto in una vera e propria lotta sociale per la conquista di un posto (sano,
 onesto, in regola…). Nulla di nuovo, ok, eppure il film è impressionante per come riesce a penetrare nella mente della
 protagonista, per come descrive le reazioni, per come entra nelle relazioni di persone arrugginite, stanche, arrabbiate. 
Tra le visioni collaterali (perché ancora niente sul cinema d'animazione?) è iniziata la tradizionale Settimana della
 Critica, dove lo scorso anno vinse Dito Montiel con Guida per riconoscere i tuoi santi. I primi due film della rassegna
 sono stati 24 Mesures  di Jail Lespert, e l'ottimo esordio di Dimitri Karakatsanis, Small Gods.  Nuovi volti,
 nuove storie, nuovi modi.  
Questa sera c'è Allen.  
Domani Chabrol, Dominik e, finalmente, Wes Anderson.
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SECONDA GIORNATA - 31 AGOSTO
 
 
Dopo l’avvincente visione di Sleuth di Branagh, lo spettacolo ha virato su frequenze più cupe. Applausi in grado di coprire
 le urla e i pianti di disperazione, i motivetti kitsch e le pippe filosofiche dei russi dell’incredibile Gruz 200  di
 Alexey Balabanov, nella sezione Giornate degli Autori, a conferma del fatto che anche l’assurdo e tragico e disperato 
racconto socio-politico di fine anni ottanta creato dal regista di Brother ha, a suo modo, conquistato qualcuno. Comunque
 un film così non si vedrà mai in Italia. Devastante ma sincera rappresentazione di un’ideologia, un sistema, un mondo
 radicato nella follia, nella perdizione dell’uomo. Tra bagni di vodka, poliziotti psicopatici, professori utopici.
  
Accoglienza flebile per Michael Clayton  con George Clooney diretto da Tony Gilroy. Nonostante lo sfondo impegnato, a
 cui Clooney non rinuncia più, la storia dell’avvocato che “sistema la spazzatura” e che infinocchia tutti non convince del
 tutto. Anzi, nonostante le buone intenzioni, il film galleggia grazie a George che non è al massimo della forma e 
dell’interpretazione. Stupisce che un film così innocuo sia stato inserito addirittura in concorso. Comunque Clooney è 
simpatico (qui ricorda il Wolf di Tarantino), piace a tutti e a Venezia si trova bene. 
  
L’altro De Palma, quello che non t’aspetti, è il creatore di Redacted  spiazzante e assolutamente visionario,
 nonostante si tratti di un falso doc. Uno spettacolo denso di contaminazioni visive, sonore, finzionali. Uno, due, tre,
 quanti film è Redacted? Cosa è vero e cosa è finto? Quanto raccontano le macchine da presa? Quanti sono i personaggi?
 Nulla a che vedere con i ricami di Black Dalia dello scorso anno. Niente a che vedere con citazioni e giochetti da
 botteghino. Qui si assiste a pura sperimentazione. A tratti un viaggio psichedelico, a tratti un incubo vertiginoso nella
 palude umana. Una mescolanza di caratteri, pensieri, corpi smarriti nel caos e nella polvere dell’assurdità (ingiustizia)
 della guerra. 
  
E poi capita di inciampare, presi dall’entusiasmo. Dopo la visione di Nessuna qualità degli eroi  di Paolo Franchi
 (alla presentazione per la stampa) nessuno ha applaudito e nessuno ha fischiato (per carità, rispetto dell’arte!).
 Un’accoglienza fredda, coerente al film, con Elio Germano nelle vesti di uno psicopatico omicida, con Bruno Todeschini che
 ricorda (o è Franchi che imita?) il Toni Servillo di Sorrentino. Cosa è successo? Forse (forse?) il film non è stato
 capito. Forse non è piaciuto. Forse è parso troppo rigoroso, formale, ridondante. Forse. Di sicuro con il primo italiano
 in concorso il morale è tornato con i piedi per terra.  
Questa sera Haggis. Domani Romher, Loach, Allen. Gli occhi si mettono in moto…
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PRIMA GIORNATA - 30 AGOSTO
 
 
C’è sempre un impatto da raccontare alla Mostra. Un pò come quello simulato e scenografico di Dante Ferretti con la sua
 palla nel muro o un pò come quello roboante e delirante di Takeshi Kitano. In un modo o nell’altro tutto impatta a Venezia:
 gli occhi nei film, il corpo nelle sale e nell’umidità del Lido, le feste, la folla e la follia. E l’inizio audace, fresco,
 coraggioso e brillante di questa 75 edizione (ma anche 64 esima va bene) sembra per il momento confermarlo. Muller
 sorrideva durante la conferenza stampa di presentazione della giuria ufficiale e faceva bene vista la formazione di registi
 e quindi artisti raffinati della macchina cinema (Yimou, Crialese, Inarritu, Veroheven, Ozpetek, Campion, Breillat), ma
 forse strizava l’occhiolino senza dirlo anche al carico di star in dirittura d’arrivo. E poi, star comprese o a parte 
(a seconda dei vostri gusti), il programma appare uno dei più stimolanti delle sue quattro edizioni da presidente. Le
 aspettative sono tante e sicuramente ci sarà luce per gli occhi. Vedremo di che tipo sarà. 
Intanto le visioni sono cominciate nel migliore dei modi con il film di Takeshi Kitano. Kantoku Banzai  è un delirio
 comico e grottesco, uno schiaffo al cinema giapponese ma anche a sé stesso. Un film che con molte probabilità in Italia
 verrà solo raccontato ma che qui al Lido a spianato la strada al futuro di questi giorni. Visto Kitano, chissà cosa capita.
 O forse la cartuccia è stata sparata troppo presto? 
  
Il concorso ha messo in Mostra il film d’inaugurazione di Joe Wright, Atonement , con Keira Knightley, piacevole
 sorpresa, che sicuramente interesserà i botteghini (il fatto che sia una trasposizione del romanzo di Ian McEwan,
 rappresenta comunque un motivo d’interesse vista la complessità dell’intreccio). Coerente ma anche molto avvincente nel
 bilanciare e mescolare i diversi punti di vista, il melodramma di Wright sintetizza le passioni e le vicende di una storia 
d’amore condizionata dal senso di colpa e dal destino. Il ritorno di Ang Lee con Se, jie (Lust, Caution)  è stato
 accolto senza troppi schiamazzi. Tuttavia la spy-love story ambientata nella Shangay degli anni quaranta conferma ancora
 una volta il grande talento del regista di Hulk e Brockeback Mountain in grado di virare con astuzia, intelligenza e
 soprattutto senso dell’arte i generi e i codici cinematografici. Ancora una volta l’amore, l’identità, le ombre e i
 riflessi dell’esistenza rappresentano il motore della sua storia (domanda: riuscirà ad uscire in versione integrale?
 Risposta: dubito). 
  
Completa la positiva sequenza iniziale l’ottimo film di Kenneth Branagh, che a Venezia vuole tanto bene, Sleuth 
 con Michael Caine e Jude Law, remake del cult Gli insospettabili di Mankiewicz del 1972. Atmosfere serrata, giochi di luce,
 musiche pruriginose e soprattutto il duetto Caine-Law al massimo dell’ironia e schizofrenia. 
Qui inizia a piovere. Chissà nelle sale…
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