
Forse non succede spesso quanto si vorrebbe, ma talvolta si è fortunati e si scoprono alcuni capolavori restaurati. 
L’occasione per non perderselo diventa ghiotta se il capolavoro è in rassegna al cinema. Si parla di cinema francese, di un
 regista per cui (forse) è difficile parlare di capolavoro in generale, ma di cui vale la pena scoprire il nome, 
probabilmente poco noto: Jacques Demy.
Dodici film nell’arco di ventidue anni. Jacques Demy, regista francese (Pont-Château, Loire, 1931- Parigi, 1990), attivo dal
 1960, anno di 
Lola, donna di vita, suo primo lungometraggio, dopo una parca produzione di corti (cinque in tutto,
 dal 1955 al ’59), approda, nel 1964, al genere 
musical con 
Les Parapluies da Cherbourg. Premiato a Cannes con
 la Palma d’Oro al Festival di Cannes di quell’anno, il film porta la giovane Catherine Deneuve alla sua prima apparizione
 in un 
musical. Già conosciuta al cinema francese per una decina di film, deve soprattutto ai due del ’63, diretti
 da registi del calibro di un Roger Vadim (
Le vice et la vertu), all’epoca suo compagno, o di un Pierre Kast
 (
Vacances portugaises) quel salto di qualità per cui l’anno successivo è sugli schermi anche italiani nel film 
La
 costanza della ragione di Pasquale Festa Campanile. È dello stesso anno, dunque, il debutto come cantante-ballerina nel
 ruolo di Geneviève Emery in 
Les Parapluies da Cherbourg. Nessun’altra produzione poi per Demy fino al 1967, quando
 si affianca per la seconda volta al genere 
musical con 
Les Demoiselles de Rochefort (in Italia, più noto con
 il titolo 
Josephine) e affida alla Deneuve il suo secondo ruolo di cantante-ballerina. Qui è una maestra di danza
 Delphine Garnier, gemella di Solange (interpretata dall’attrice Françoise Dorléac), invece, maestra di musica e
 compositrice. 

Formatosi all’Accademia di belle arti, si affaccia al mondo del cinema come aiuto-regista per alcuni documentari. È la volta
 poi dei corti e poi del primo lungometraggio, 
Lola, film drammatico con una splendida Anouk Aimée nei panni di una
 
chanteuse di cabaret e con già all’attivo più di una ventina di pellicole (tra cui difficile non citare 
La dolce
 vita di Fellini). Pur collocandosi, temporalmente almeno, a cavallo della Nouvelle Vague, Demy ne resta a distanza, 
abbracciando alcune scelte e ‘tradendone’ altre. Da una parte la sua prassi registica segue l’onda dei cosiddetti ‘giovani
 turchi’ contro quel cinema commerciale, dai costi alti e di ascendenza letteraria, dall’altra se ne distacca nel momento in
 cui l’occhio è volto oltreoceano, a quell’America presa a modello, ma… con le ‘dovute’ precauzioni, appunto. 
Les Parapluies da Cherbourg è il tentativo di produrre un 
musical del tutto lontano e autonomo rispetto al
 modello hollywoodiano. Il timbro è francese. Certo si sente, ma si vede soprattutto. Tutti i circa novanta minuti sono 
cantati, o meglio sono previsti come dialoghi cantati. Non si tratta di vere e proprie canzoni, non sempre, ma di una
 continua melodia su cui viene modulato tutto il parlato, si tratti di una singola parola piuttosto che di un periodo. Le 
canzoni ‘vere e proprie’, ovvio, non mancano. Da qui, i personaggi sono in un costante ‘mondo del canto’ senza
 necessariamente esibirsi in 
performance ballerine. Succede che la mimica non segue le regole della tradizione
 americana che vorrebbe il gesto amplificato, enfatico… teatrale, per l’appunto, ad accompagnare il significato delle
 parole. La scansione tra dialogato parlato e dialogato cantato non esiste, tutto e cantato, non sempre il ballo
 rappresenta la componente visiva dell’immagine. 

Diversamente, 
Les Demoiselles de Rochefort, è articolato lungo una dimensione narrativa che al canto-ballo alterna
 il dialogo parlato. La diversificazione tra l’uno e l’altro registro è pertanto netta. Enfatici e inverosimili, favolistici
 e smaccatamente romantici i primi, più verosimili (… ma ad essere più verosimile non ci vuole poi molto quando il racconto
 va avanti sull’immagine di Rochefort in cui la gente balla e canta mentre passeggia per strada…) e 
trien-du-union
 dei momenti musicali, i secondi. Dunque, per questo secondo 
musical Demy sembra strizzare un po’ più l’occhio alla
 tradizione hollywoodiana. Entrambi costruiti sulla potenza dell’impatto del colore e delle sue combinazioni (talora davvero
 stravaganti. Si pensi alle varie carte da parati degli interni in 
Les Parapluies da Cherbourg. Davvero una sfida ai
 limiti percettivi dell’occhio umano e del gusto, vorrei aggiungere, ma, si sa, il gusto qui (come in genere succede nel
 
musical) è sinonimo di enfasi, esagerazione, di iati visivi e sonori, di miscellanee di sentimenti e fantasie. Il
 marcato è giusto, il tenue e sfumato non funziona. Anche i segni, i contorni devono essere decisi, dalla fantasia delle 
tappezzerie all’estrema accuratezza del vestire e portare i capelli nessuna stonatura tradisce il mondo della favola. La 
pulizia dell’immagine e il suo rappresentare quel comunemente detto ‘mondo a colori’, quello del sogno, della positività… 
della favola, sembra rimanere immune dallo sporco o dalla malattia, dalla loro negligenza e tristezza. Queste ultime volano
 via, il canto e la sua melodia mettono ordine e riempiono lo spazio di soavità e dolcezza, poco importa alla fine se la
 ‘principessa’ (forse) non è felice. La malinconia, infatti, non manca. A più riprese la musica la suggerisce mentre le 
parole la raccontano cantandola. Decisamente più intonato alle stravaganze dell’irrealtà è 
Les Demoiselles de
 Rochefort. Solo tre anni lo separano dal precedente e Catherine Deneuve è innegabilmente il ritratto della ‘bambola’
 da desiderare. Bella e bionda, perfetta nel suo vestire (…davvero invidiabili i costumi) e nel suo muoversi: è grintosa
 quanto basta per fare dei due 
musical il suo trampolino di lancio. 

Demy torna al genere musicale nel 1970 con 
La favolosa storia di pelle d’asino (tit.or.: 
Peau d’âne) dove
 ancora ritroviamo Catherine Deneuve, successivamente con 
Una camera in città (tit.or.: 
Une chambre en ville,
 1982), 
Parking (1985), 
Trois places pour le 26 (1988), tutti per le musiche di Michel Legrand (autore anche 
delle musiche dei primi due 
musical), fatta eccezione per il film del 1982. 
Sposato con la grande cineasta Agnés Varda, che gli dedica dopo la morte, 
Garage Demy (1991) riaccendendo l’interesse
 e l’attenzione al cinema del marito, Demy rimane piuttosto estraneo alla cinematografia italiana -sia questo anche dovuto
 alla sostanziale difficoltà di doppiaggio del 
musical- nonostante un grande caratterista, soprattutto, dei nostri
 schermi (e teleschermi. Si ricorda l’interpretazione di Renzo Tramaglino nella versione televisiva de 
I Promessi
 Sposi di Sandro Bolchi), come Nino Castelnuovo. Attore debuttante in 
Un maledetto imbroglio di Pietro Germi. 
Eppure la Palma d’Oro del ’64 non è del tutto aliena ai cinefili, come del resto si può ritenere decisamente degna di 
considerazione 
Lola. Una filmografia varia nel genere, a tratti sperimentale a tratti manifestamente mélo, ma da
 curiosare (a tal proposito, si ricorda la retrospettiva proposta nel 2001 al Bergamo Film Meeting)… magari ponendosi
 l’interrogativo: Jacques Demy, nella Francia della Novelle Vague … cosa ricercava con la macchina da presa? 
E se davvero la curiosità verso il 
musical di 
Les Parapluies da Cherbourg o di 
Les Demoiselles de
 Rochefort è desta… sono uscite, di entrambi, le versioni DVD.