
È il 1962 e a Baltimora impazza il 
Corny Collins Show, un programma televisivo locale in cui ragazzi bianchi si
 scatenano sulle note della 
black music. Tra i tantissimi fan della trasmissione ci sono Penny Pingleton e Tracy 
Turnblad, ragazza “piacevolmente grassoccia”, come lei stessa si definisce, scatenata ballerina con un innato senso del 
ritmo. Presentatasi a un’audizione, con carattere e sicurezza di sé, diventa parte del cast della trasmissione, riuscendo
 in un colpo solo a rubare la fama e il fidanzato, il bel Link Larkin, alla bionda e filiforme Amber Von Tussle. Tra le due
 ragazze inizia, così, una guerra spietata per la supremazia, soprattutto quando entrambe vengono candiate ad un concorso di
 bellezza. Tracy, nel frattempo, comincia a frequentare la comunità nera di Baltimora diventando una paladina
 dell’integrazione e arrivando quasi a compromettere la sua immagine. 
Il film di John Waters uscì per la New Line Cinema nel 1988. Waters si ispirò alla propria storia personale: originario di
 Baltimora, aveva vissuto in prima persona i fermenti di una città e di una mentalità in cambiamento. Le stazioni
 radiofoniche locali trasmettevano la 
black music apprezzatissima dai giovani bianchi, appassionati di un programma
 tv per ragazzi chiamato 
The Buddy Dean Show, chiara ispirazione per il 
Corny Collins Show del film. L’intento
 di Waters era di mostrare il tema dell’integrazione dal punto di vista di una persona bianca, e l’uso di Tracy, una ragazza
 grassa, era il modo per mostrare un outsiders che si batte contro tutta una serie di discriminazioni per realizzare il
 proprio sogno. 
Waters all’epoca era famoso per una serie di 
Midnight movies dei quali era sceneggiatore, regista e produttore (con
 un consistente aiuto finanziario da parte dei genitori, e della pellicola rubata da vari set). Protagonisti dei suoi film
 un gruppo di attori, la maggior parte dei quali travestiti, che si facevano chiamare 
Dreamland. Il più assiduo, e
 quasi alter ego di Waters, fu Divine, all’anagrafe Harris Glenn Milstead, vicino di casa del regista. Questi fece di Divine
 un’icona trash (brutta, sporca e cattiva) fino a fargli mangiare feci di cane nel memorabile finale di
 Pink Flamingos
 Pink Flamingos, il suo 
Midnight movies più famoso. 
Hairspray, inaspettatamente, riuscì ad ottenere solo una blanda restrizione, PG (minori accompagnati), che indica un
 film per famiglie, diventando così il film di maggior successo del regista. Un film che rappresentava completamente
 l’ingresso di Waters nel cinema “normale”, dopo due decenni di militanza underground. 
Dopo che, nel 2002, la storia di Tracy è diventata un musical di successo, vincitore l’anno successivo di ben tre 
Tony
 Awards, tra cui quello per miglior musical, la New Line scelse di riproporre Hairspray nella nuova versione musical sul
 grande schermo. 
A dirigere il film questa volta Adam Shankman, regista tra l’altro di 
The Wedding Planner, I passi dell’amore, Un ciclone
 in casa, The Pacifier – Missione Tata e Il ritorno della scatenata dozzina, campioni di incassi ma da dimenticare dal
 punto di vista cinematografico.
Al film di Shankman manca, infatti,  l’autorialità di Waters, e si avvale di uno dei 
miscasting più clamorosi degli
 ultimi anni. Il film, infatti, al di là della retorica del marketing, vede un John Travolta imbarazzato e raramente a suo
 agio aggirarsi sul set negli enormi panni di Edna Turblad, la madre di Tracy. Solo Christopher Walken sembra più spaesato
 di lui, e regala un’interpretazione al di sotto di ogni standard. 
Anche se è un target adolescenziale quello a cui il film fa riferimento, non vengono risparmiati doppi sensi e battute a 
sfondo sessuale. Efficacissima Nikki Blonsky nel ruolo di Tracy e il cast dei giovanissimi. Un po’ meno in parte gli adulti
 a cominciare da Travolta e Walken. Piacevole comunque per chi non ha visto l’originale di John Waters del 1988, che va
 assolutamente recuperato.
Ciò che si perde nel passaggio dal film di Waters a quello di Shankman è, dunque, lo spiriro originale e irriverente. A
 Waters piacevano le atmosfere plastificate degli anni ’50-‘60, dove mamme amorevoli preparavano la colazione a figlie
 scapestrate pronte a farsi mettere incinta sui sedili posteriori delle macchine. Certo 
Hairspray risulta il più
 edulcorato dei suoi film, che cercavano di spingere sempre più oltre il limite di quello che si poteva mostrare sul grande
 schermo parlando in maniera dissacrante di droga, omosessualità, aborto e religione, ma questo certamente, non basta. 

Il personaggio di Tracy è sì una ragazza taglia 48, forse anche 50, ma non è certo né buona, né santa. Lei sa quello che
 vuole e sempre lo prende, come ogni 
bad girl che si rispetti. Non canta il suo amore per Baltimora svegliandosi al
 mattino, prende a calci i ratti di strada, non da loro da mangiare. E tutti cadono ai suoi piedi: a Link Larkin basta uno
 sguardo per capire che Amber non vale tanto quanto lei, e Tracy non si farà scrupolo di usare le telecamere per accrescere
 la sua popolarità. Tracy non è vittima della crudele Amber, anzi risponde colpo su colpo e alla fine entra in scena
 direttamente dalla porta, scostando rudemente i poliziotti. Niente sorrisini, niente buonismo, Tracy è una donna tosta che
 sa chi è e cosa vuole e quando decide che è giusto che anche Seaweed, il suo amico di colore, deve ballare, allora getta
 scompiglio negli studi televisivi e diventa paladina dell’integrazione. È un’impulsiva Tracy, e trascina con se coloro che
 le vogliono bene. I suoi genitori non sono passivi, la sostengono in ogni modo, tanto che il signor Turnblad (Jerry 
Stiller, il papà del più famoso Ben) aggredisce a colpi di scherzetti i signori Von Tussle, genitori di Amber, Edna, la
 madre, non si fa certo spaventare da commenti sulla sua taglia. Quanto a Link Larkin non si tira certo indietro e per amore
 di Tracy finisce anche in sedia a rotelle. Waters si ritaglia il cammeo del sadico dottore che la famiglia ingaggia per
 fare il lavaggio del cervello a Penny, che lui si diverte a torturare con gli strumenti più perversi. 
La comunità nera è vista come vitale, agguerrita e molto più libera della bacchettona comunità bianca, in cui è impedito
 ballare troppo stretti. Per questo Tracy si trova tanto bene con loro: la sua debordante vitalità non può essere compressa
 all’interno delle rigide regole della società borghese. 
Il film di Shankam ha il suo punto di forza nella giovane protagonista Nikki Blonsky e alcune scelte di cast azzeccate, come
 una perfida Michelle Pfeiffer, e una debordante e sensuale Queen Latifah nei panni di Motormouth Maybelle. Ma il film è
 come detto inzuppato di melassa e perde molta della sua originale cattiveria. Se Waters da per scontato che Tracy possa
 eccellere così com’è, nel nuovo film, Tracy deve essere più buona e più brava a ballare di Amber (descritta come

 un’incapace). Anche Link Larkin ci mette del tempo ad accorgersi della sua presenza e si vergogna fino alla fine di farsi
 vedere al suo fianco, preferendo il conformismo.
Edna si vergogna della sua stazza e non esce mai di casa; è la figlia che deve costringerla ad uscire. Suo marito Wilburn è
 un uomo spento e un po' stupido (come se solo i poco svegli potessero amare una grassona), che Michelle Pfeiffer tenta di
 sedurre in una delle scene più inutili del film (a che scopo poi?). Ma il successivo balletto di corteggiamento fra i due
 attori, in particolar modo Travolta, espressione di virilità,  raggiunge elevatissimi picchi di imbarazzo, e non c’è
 nemmeno il coraggio di un bacio tra i due (cosa di cui comunque lo spettatore è grato, altrimenti avrebbero dovuto
 distribuire in sala dei sacchetti, prima della visione). 
La famiglia di Penny entra in modo marginale nella vicenda, e non c’è la voglia di osare una storia interrazziale per cui 
il bacio fra i due arriva solo alla fine senza alcuna limonata dura contro il muro di una discoteca black. La comunità nera
 poi è spenta e sembra capace solo di piangersi addosso, come Queen Latifah alla testa della marcia che chiede la fine della
 segregazione. 
Alla fine l’integrazione ci sarà, e pure troppa. Se la Tracy dell’88 avesse saputo come andava finire, si sarebbe molto
 arrabbiata e avrebbe preteso quella corona tutta per se.