FUORISCHERMO

 

NEL BOSCO
DEL CINEMA ITALIANO...
QUALCUNO SI SALVA
Intervista a Vittorio Moroni, ospite del Cinema Rondinella
MATTEO MAZZA

Vittorio Moroni L’esordio sorprendente, oltre 40 mila spettatori, e l’inedita modalità distributiva hanno permesso ha Tu devi essere il lupo di diventare un vero e proprio film cult. A distanza di qualche mese il papà di questo progetto, il regista Vittorio Moroni, continua a incontrare gli spettatori per sentire cosa pensano della sua creazione. Un filo diretto e continuo tra creatore, opera e pubblico, per dare la possibilità all’occhio che guarda di entrare pure nelle dinamiche del sistema-cinema italiano, sempre più fragile e incoerente. Vittorio Moroni è stato ospite del Cinema Rondinella, giovedì 20 ottobre, in occasione della proiezione del suo film. Come di consueto, ha poi incontrato il pubblico, rispondendo alle domande e raccontando in prima persona questa singolare esperienza.

Il 6 maggio 2005 è uscito nelle sale Tu devi essere il lupo. Finalmente dopo sette anni di lavorazione hai potuto vedere la tua creazione sul grande schermo. Passione e determinazione non ti hanno mai abbandonato, ma come siete riusciti a portare a termine questo lunghissimo progetto? Perché tutto questo tempo, considerato che il Lupo è stato girato nel 2003? Inoltre il film è stato selezionato e finanziato dal Dipartimento per lo Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali , e ha pure partecipato ai festival di Annecy, Villerupt, Ajaccio e Lecce.
Il pubblico che ha avuto l’opportunità di vederlo ai festival lo ha accolto con grande entusiasmo e in molti ci hanno chiesto quando sarebbe uscito nelle sale italiane. A questa legittima domanda abbiamo cercato di dare una risposta. Le diverse distribuzioni a cui abbiamo sottoposto Tu devi essere il lupo ci hanno fatto intendere, senza entrare nel merito della qualità, che chiedere la distribuzione per un piccolo film italiano oggi è ‘come chiedere la pace nel mondo’. Senza fondi e con il mercato in frenata (congestionato da una concorrenza straniera aggressiva e da un'industria italiana in crisi) sembrava impossibile far uscire il film nelle sale. Abbiamo ascoltato tutti. Ma per noi questo progetto rappresentava troppo in termini di amore e impegno perché potessimo accontentarci di tenerlo in un cassetto e lamentarci della situazione generale.

Sembra la conferma che in Italia ci sia davvero un clima cupo per quanto riguarda il cinema. Come avete reagito?
TU DEVI ESSERE IL LUPO Abbiamo deciso di fondare l’associazione culturale MYSELF. Il film ce lo siamo distribuito noi. Grazie a diversi sostenitori abbiamo raggiunto la cifra di 50.000 Euro - il minimo indispensabile per le spese di lancio - e ci siamo associati alla PABLO distribuzione di Gianluca Arcopinto. Le nostre risorse economiche non ci hanno permesso di contare su una importante campagna pubblicitaria ‘ufficiale’, ma per suscitare l’attenzione del pubblico abbiamo agito nelle realtà locali, inventando eventi, usando tutti i canali possibili per far sapere che questo film esisteva. Per ottenere dei buoni risultati oltre al nostro impegno abbiamo avuto bisogno dell’aiuto di persone che come noi sono state disposte a credere in quest’avventura come si crede in qualcosa di giusto e necessario. Persone che hanno voluto sostenere la MYSELF con un contributo, anche piccolo, che ha rappresentato un significativo segno di appartenenza a questa iniziativa per aiutare la distribuzione di Tu devi essere il lupo. Per ogni donazione a partire da 5 euro abbiamo consegnato in omaggio un coupon che in occasione dell’uscita del film si poteva presentare alla cassa del cinema per avere un biglietto gratis.

Quindi MYSELF è servita a creare una sorta di ponte fra gli spettatori?
Esatto. Si è creato un vero e proprio ponte con il pubblico. Noi ci siamo assicurati il pubblico per le prime due settimane, il resto poi è venuto dal Lupo, che ha cominciato a camminare con le sue gambe. Col passaparola si è creato il sodalizio con spettatori interessati proprio a un film così, proprio a una storia come il Lupo.

Messo in moto il meccanismo di passaparola, gli spettatori hanno risposto. Il film affronta un tema insolito, ma non abbandona mai onestà e delicatezza nel rappresentare le vicende personali dei personaggi. L’assenza di giudizio e la libertà, nel senso strutturale, dei personaggi hanno fatto molto discutere, ma sembrano gli aspetti più peculiari del tuo film. Considerando che il rapporto fra biglietti staccati e copie in distribuzione è uno dei più alti della stagione, quali sono state le reazioni?
E’ vero, sono personaggi molto aperti e per niente chiusi in gabbie. L’astensione di giudizio è una scelta che penetra in tutto il film. Probabilmente è stato uno dei motivi di gradimento. A questo proposito mi piace ricordare quando raggiungevo il cinema in cui proiettavano il film. Verso le 22.15, a cavallo fra primo e secondo spettacolo, mi fingevo uno spettatore indeciso per chiedere a quelli che uscivano se valeva la pena di entrare a vedere il Lupo. In quei momenti verità ho sentito l’affetto per il film, ho visto che ha toccato profondamente molte persone. Mi è servito molto.

TU DEVI ESSERE IL LUPO Il film mantiene sempre uno stile asciutto e garantisce allo spettatore sempre una certa libertà interpretativa. Questo si incontra raramente al cinema. La scena che forse meglio rappresenta questa tua scelta (morale) è quella sul treno, quando Valentina Carnelutti sta lasciando Sondrio. Questo finale poco “televisivo” ha complicato ulteriormente la distribuzione del film?
Per me era importante lasciar respirare personaggi e pubblico. Di conseguenza non mi andava di costruire qualcosa di già visto o di banale. E’ stata una scelta difficile, ma coerente rispetto all’intero film. E anche qui abbiamo avuto problemi. Alcuni produttori (Rai Cinema) ci avevano chiesto di narrare la stessa storia con un finale che quadrasse il cerchio. Questo ci avrebbe dato più passaggi in televisione, e qualche soldo in più, ma sarebbe andato a discapito degli spettatori e degli stessi ambivalenti personaggi.

Un’altro aspetto particolarmente affascinante è il gioco continuo che fai con il cinema. Oltre alle varie citazioni più o meno dichiarate e più o meno nascoste (da Wenders a Loach, da von Trier a Kieslowski), le scene con le marionette sono davvero uno spettacolo a sé. Non solo. I continui richiami al cinema di silhouette e al cinema di ombre, ma anche l’importanza della fotografia, portano il film su un piano evocativo. Qui il ricordo acquista, strada facendo, una funzione essenziale.
Il ricordo è un personaggio. Ha una funzione fondamentale nel Lupo. I tre personaggi (Carlo, Vale, Valentina) hanno un rapporto molto particolare con i ricordi. A volte sono fotografie del tempo passato, attimi felici, incontri fugaci. Altre volte sono la sofferenza e il rancore, l’ansia e la paura di perdere qualcosa e qualcuno. Nel caso di Carlo e Vale, il loro legame nasce da una ferita profonda per entrambi: l'assenza della madre. E’ forse per sopravvivere a questo dolore che il loro rapporto è divenuto così forte. Dietro questa forza si nascondono due possibilità, quella di trovare un nuovo equilibrio che renda questa relazione profonda e aperta oppure l'implosione in una gabbia senza finestre. Ognuno ha paura di perdere l'altro anche se si rende conto che l'unico modo di non perderlo è accettare che altre persone, altri affetti possano trovare spazio. Il film racconta un momento cruciale di questa evoluzione.

Un altro aspetto importante è rappresentato dai luoghi. Insolita ma efficace, la scelta delle due città: Sondrio e Lisbona.
La prima volta che sono stato a Lisbona ho respirato un’atmosfera che non avevo mai incontrato in nessun altra delle grandi capitali europee. La città mi sembrava essere al tempo stesso un luogo remoto e un rifugio accogliente. Alcune località – Capo Espichel in particolare, di cui mi sono subito innamorato - trovavo avessero un carattere sublime che si addiceva perfettamente al personaggio tormentato di Valentina. Inoltre il Portogallo rappresentava l’estrema sponda del Vecchio Continente, una sorta di ultima frontiera che ci impedisce di fuggire e ci costringe a fermarci, contemplare e interrogare gli abissi della nostra coscienza. Anche la nostalgia così diffusa e potente nell’animo di ogni Portoghese mi sembrava capace di donare una bellezza malinconica al personaggio di Valentina, pensavo che fosse la dimensione esatta dove può trovare rifugio una marionettista italiana che ha deciso di vagare per tutta Europa prima di incontrare un luogo dove fermarsi.

Decidere di girare un film a basso budget in Valtellina e in Portogallo è un’impresa impegnativa. Quanto questi luoghi hanno condizionato le riprese del film?
TU DEVI ESSERE IL LUPO In Valtellina non ci sono professionalità, noleggiatori, maestranze che appartengano al settore cinematografico, pertanto la trasferta di una troupe di 40 persone per 7 settimane di ripresa ha comportato dei costi importanti e uno sforzo notevole. D'altra parte io ci tenevo moltissimo a girare il mio primo lungometraggio in Valtellina, dove sono nato. Mi rassicurava l’idea di conoscere molto bene alcuni paesaggi, di esserci cresciuto, di sapere come cambiano in certe ore del giorno a seconda della luce e del tempo… Il tentativo è stato quello di far partecipare i paesaggi, le montagne, la natura aspra della Valtellina alle vicende e al mondo interiore dei personaggi.

Perché questo titolo? Che cosa rappresenta il Lupo?
Il lupo rappresenta tutto ciò di cui abbiamo paura. Ognuno dei tre personaggi principali è chiamato a scegliere se rimanere in un dolore irrisolto (la pianura ai piedi del vulcano) o affrontare gli abissi della propria coscienza, facendo i conti con se stesso e la propria storia (confrontarsi col lupo). Dopo alcuni tentativi, questa è stata la scelta definitiva. Devo dire che mi piace.

Puoi darci qualche anticipazione per il tuo futuro? A cosa stai lavorando?
In questo momento sto lavorando ad un documentario. E’ la storia di un ragazzo straniero che viene a vivere in Italia e cerca di integrarsi. Spero di portare a termine questo progetto come ho in mente io. Speriamo di non distribuirlo fra sette anni.