FUORISCHERMO

 

NOVE VITE DA DONNA
FLYER
Titolo originale: Nine lives
Regia: Rodrigo García
Sceneggiatura: Rodrigo García
Fotografia: Xavier Pérez Grobet
Montaggio: Andrea Folprecht
Musica: Ed Shearmur
Interpreti principali: Kathy Baker, Amy Brennerman, Elpidia Carrello, Glenn Close, Lisa Gay Hamilton, Holly Hunter, Sissy Spacek, Amanda Seyfried, Robin Wright Penn, Dakota Fanning
Origine : Usa, 2005
Durata: 112'
Colore




FLYER Nove donne. Nove pensieri. Anime in lotta con la propria anima, con il destino, con la vita. Anime in ricerca, perse nel buio. Nove storie intime, passionali, raccontate con pudore, semplicità ed efficacia. Non tutte di uguale intensità emotiva, ma tutte capaci di lasciare un'impronta. Nove donne che esplorano i luoghi della mente (i ricordi) e del cuore (i sentimenti). Dalla prigione al supermercato, dalla propria casa all'ospedale, dal motel al cimitero. Le scelte e le lacrime. A volte la speranza. Lo sguardo disincantato di Rodrigo Garcia, ci proietta nella vita di queste donne. Si avvicina, le sfiora, gli gira intorno. A volte le segue, altre volte gli indica la strada. Oppure a volte è sorpreso da qualche movimento inatteso. Le sue riprese sono come una danza, leggera ma presente. Gli episodi sono tutti squisiti piani sequenza, che danno vita alla macchina da presa, come se fosse un personaggio. I “pezzi” più efficaci, dal punto di vista della vicenda e dal punto di vista delle immagini, sono il primo e l'ultimo. Ovvero lo schiaffo di una prigioniera e la carezza di una vedova. La lacrima di una mamma, i ricordi di una moglie.
MATTEO MAZZA


FLYER Nove spaccati esistenziali al femminile, nove episodi tra loro più o meno congiunti, nove inquadrature in piano-sequenza (cioè senza nemmeno uno stacco). Sorgono diversi interrogativi e qualche dubbio. Perché il piano-sequenza? Per non interrompere i tranches de vie delle protagoniste? Per creare una sorta di lunga coordinata narrativa? O per fare esercizio di stile (e di tecnica)? L'impressione è che sia una scelta esornativa e un po' vezzosa, oggi che il piano-sequenza è diventato di moda (al pari di altri orrori estetici, come i ralenti digitali), dimenticandosi che la rinuncia al montaggio implica mancanza di ritmo visivo e narrativo. Ecco dunque sequenze statiche (nonostante le acrobazie della macchina da presa), forte rilievo dato alla recitazione (con molti tempi morti e un uso abbondante del sistema Actor's Studio), una certa saturazione per l'occhio. Senza contare i molti cliché interni delle storie, a volte appassionanti (il primo e l'ultimo episodio), più spesso noiose e con un vago senso di già visto. Un film aneddotico con un'aura intellettualistica da festival. Pardo d'Oro, infatti, a Locarno.
MASSIMO ZANICHELLI


FLYER Dopo lo splendido esordio de Le cose che so di lei, Garcia mantiene la formula (ritratti femminili, realismo minimalista, poetica del frammento), ampliando il numero degli episodi (da 5 a 9) e autoimponendosi ulteriori limiti formali (ogni episodio è composto da un’unica sequenza, senza stacchi di montaggio). L’utilizzo del piano-sequenza da un lato amplifica ulteriormente la poetica dell’ellissi, nel tentativo di raccontare vite (come da titolo) e sentimenti di grande intensità prelevando un pugno di minuti apparentemente casuali da un’intera esistenza; dall’altra impone alle attrici tour de force recitativi notevoli. Non tutti gli episodi piacciono allo stesso modo, qualche idea sembra già vista (intrecciare vicende e personaggi ad esempio non è un obbligo) e la moltiplicazione delle storie comporta un rischio di implosione a causa dell’omogeneità dei toni (le vite raccontate sono tutte oppresse da una sensazione di costrizione determinata via via dal peso del passato o da situazioni attuali senza apparenti vie d’uscita, ambientate in luoghi “freddi” come prigioni, ospedali, case non abitate, supermercati, cimiteri e funerali). Ma il cinema di Garcia rimane piano di poesia, di intelligenza e di stile, forse il miglior corrispettivo cinematografico della narrativa breve di Raymond Carver.
MAURO CARON