
Hollywood si è svegliata sotto un sole europeo la mattina del 25 febbraio, dopo una lunga e intensa notte di passione. 
Perché, effettivamente, è stato un inizio anno carico di passione per il cinema americano, paralizzato dallo sciopero degli
 sceneggiatori che avevano fatto saltare la cerimonia dei Golden Globe, cioè l’anticamera degli Oscar e delle star. Star che
 per altro si sono schierate in blocco al fianco degli scioperanti, mischiandosi alle loro manifestazioni, dichiarando
 solidarietà e promettendo di boicottare le varie cerimonie di premiazione finché le richieste non fossero state ascoltate.
 E così è stato. Le stelle per un po’ non hanno brillato e hanno preferito l’impegno politico allo scintillare dei flash dei
 fotografi. 
Ed è stata la Hollywood più libera che, alla fine, rientrata la protesta, si è vista sfilare sul Red Carpet del Kodak 
Theatre. Quella parte di Hollywood simbolicamente rappresentata dalla nomination di George Clooney, vera star glam anni ’50
 e sempre più impegnato, candidato all’Oscar come miglior attore protagonista per 
Michael Clayton. 
E anche la cinquina del Miglior film ha messo in rilievo alcune aspetti interessanti. Il quasi indipendente 
Juno, i
 fratelli Coen, Paul Thomas Anderson, il Clayton con Clooney e il britannico 
Espiazione, dimostrano quanto Hollywood
 non pensi più ai kolossal. 
Sembra tramontata un’epoca e sembra sorgere, sempre più, una produzione più indipendente, di nicchia, fatta di outsiders
 scomodi e controcorrente. Per intendersi niente più 
Titanic e niente più 
Il paziente inglese. È finita pure
 l’epoca del regista che acchiappa una nomination ad ogni film e, infatti, le ultime fatiche di Spielberg non hanno
 incontrato il plauso dell’Academy (cosa succederà col prossimo Indiana?). 
Il cinema americano, quello mainstream, ora ha la vocazione del film d’azione, delle commedie sentimentali o dei teenmovie,
 più o meno sboccati indirizzati verso un target sempre più adolescenziale in grado di spendere tempo e denaro. Proprio 
questo pubblico ha forse fatto il successo del film 
Juno, che in America è stato una sorta di evento mediatico in
 grado di generare concorsi e che, forse, deve parte del proprio successo a internet e agli aggregatori sociali come MySpace. 

Ecco, quindi, che salgono sul palcoscenico gli europei o quei film e quei registi americani che devono il loro successo ai 
Festival del Vecchio Continente come Venezia, Cannes e Berlino, palinsesti festivalieri dai quali sono passati i Coen,
 Anderson, Schabel, 
Nella valle di Elah, 
Michael Clayton. Un nuovo sbarco sulle coste americane, senza passare
 da Ellis Island, ma con un passaporto in regola e con un martini in vip class. 
Quasi nessuna sorpresa nella cerimonia di premiazione durata poco meno di quattro ore, la più corta degli ultimi anni,
 presentata da Jerry Seinfield, comico americano ideatore e sceneggiatore del film 
Bee Movie inserito, tra l’altro,
 nella cinquina per il miglior film d’animazione. Due i film in pole position, 
Non è un paese per vecchi dei Coen e
 
Il petroliere, di Paul Thomas Anderson, ritratti spietati, intrisi di sangue, di una nazione che ha perso la bussola
 o che forse non ha mai saputo dove andare. Otto nomination ciascuno, ma i due fratelli di Minneapolis si sono portati a
 casa la statuetta per il miglior film, la miglior regia e la miglior sceneggiatura non originale per il loro adattamento
 del romanzo di Cormac McCarthy. Daniel Day-Lewis è il Miglior attore, super favorito dopo la vittoria ai SAG Awards, e
 ritira la statuetta sbaragliando il già citato Clooney, Tommy Lee Jones, Viggo Mortensen e il Johnny Depp di 
Sweeny
 Todd.  Tra le donne, è salita sul palco, in lacrime, la giovane attrice francese Marion Cotillard, premiata
 dall’Academy per la sua trasformazione nella piccola e fragile cantante Edith Piaf nel film 
La vie en rose. A bocca
 asciutta la superfavorita Julie Christie per la sua donna malata d’Alzheimer di 
Lontano da lei, la giovane Ellen
 Page di 
Juno, Laura Linney e la regina Elisabetta Cate Blanchette, sconfitta anche nella categoria delle Attrici non
 protagoniste, dove a ritirare il premio è salito sul palco la gallese Tilda Swinton di 
Micheal Clayton. Quest’anno
 l’Academy ha amato molto i cattivi, e così, dopo il petroliere bruciato dalla sua stessa avidità, ecco ritirare il premio
 un killer spietato privo di senso dell’umorismo come il personaggio interpretato dallo spagnolo Javier Bardem che ha
 ringraziato i fratelli Coen per avergli fatto indossare la peggiore capigliatura della storia del cinema e che si è rivolto
 alla platea, in spagnolo, ringraziando la madre attrice e dedicando il premio di Miglior attore non protagonista al cinema
 della sua patria. 

Gli italiani? Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti, ormai degli abituè della cerimonia, hanno vinto il premio per la
 miglior scenografia per il film di Tim Burton 
Sweeney Todd, mentre Dario Marianelli ha vinto per la Miglior colonna
 sonora per 
Espiazione. Ai francesi è andato il premio per il miglior trucco per 
La vie en rose, mentre agli
 inglesi i miglior costumi per lo sfarzo di 
Elizabeth-The golden age. Austriaco il miglior film straniero, 
Il
 falsario. 
Curiosa sfumatura in rosa per le sceneggiature. Tre delle cinque nomination per la miglior sceneggiatura originale erano
 firmate da donne. E acconciata come una pin-up anni’50, inguainata in un vestito 
animalier John Galliano by Dior,
 con tanto di tatuaggio di donnina nuda sul braccio e una cascata di capelli corvi, ovviamente tinti, ha vinto Diablo Cody,
 nome d’arte di Brook Busey-Hunt, ex ballerina di streep-tease e famosa blogger, che ha ottenuto un grandissimo successo
 grazie allo script del film 
Juno.
Agli Americani cos’è restato? Il miglior montaggio, il miglior sonoro, la fotografia e gli effetti visivi, andati al film
 d’azione (per l’appunto, vedi sopra) come 
The Bourne Supremacy e fantasy come 
La bussola d’oro. Oltre che,
 ovviamente, il Miglior film d’animazione dove il seppur bello 
Persepolis della giovane iraniana Marjane Satrapi
 nulla ha potuto contro la corazzata Disney Pixar che presentava il capolavoro 
Ratatouille. 
Ma, come ha fatto notare il Los Angels Times, il film racconta le gesta di un piccolo topo francese. Quindi non resta che
 dire 
vive la France! , o meglio, l’
Europe!