FUORISCHERMO

 

APPUNTI VENEZIANI
Dalla 63° Mostra Internazionale
di Arte Cinematografica di Venezia
DECIMA GIORNATA - 9 SETTEMBRE
NUOVOMONDO L’ultimo giorno di Festival riserva il classico finale sorpresa. Nuovomondo di Emanuele Crialese, già autore del fortunato Respiro, chiude il concorso della sessantatreesima Mostra del Cinema tra gli applausi. La soddisfazione nel vedere, finalmente, un buon film italiano, convincente, emozionante e anche divertente, proietta i pensieri subito alla serata di premiazione di domani sera.
Sono passati dieci giorni. Era il 30 agosto e apriva De Palma. Oggi ha chiuso Crialese. Fa sorridere, ma è tutto vero.
Nuovomondo ripercorre il viaggio di una famiglia siciliana all’inizio del Novecento verso la tanto sognata America, terra di speranza e salvezza. Lo sguardo di Crialese è aperto e attento a definire le sensazioni, i desideri e le paure di uomini che provano a cambiare il loro destino andando in contro a qualcosa di veramente ignoto e lontano. Un film intelligente, che non si ferma solo a ricostruire nostalgicamente atmosfere passate, ma che mantiene sempre la stessa sensibilità nel mostrare le dinamiche relazionali tra uomini e donne, senza nasconderne i limiti e le paure. Definire poetiche le sequenze oniriche, è soltanto limitativo. Un’ottima conferma per Crialese dopo il successo di Respiro.
Visione collaterale curiosa. Alla settimana della critica è stato presentato come evento speciale il film La rieducazione del trio italiano Alfonsi, Fusto, Malagnino. Una vera impresa produttiva se si pensa che è costato appena 500 euro!
The end. Lo scorso anno il film di chiusura fu l’horror movie di Neil Marshall, The descent, da tutti definito come nuova frontiera di genere. Quest’anno ha chiuso il Festival Pavel Loungine con il suo The Island. Tutta un’altra cosa. Chi ben finisce…
Si torna a casa

In concorso
Nuovomondo di Emanuele Crialese

NONA GIORNATA - 8 SETTEMBRE
NUE PROPRIETE Influenze da luna piena in questo nono giorno di Festival. Luna che splende e che porta bene alla Mostra del Cinema. Questo nono giorno di proiezioni è stato infatti palcoscenico di una coincidenza fino ad oggi quasi mai accaduta: due film consecutivi entusiasmanti. Prima Nue Proprietè di Joachim Lafosse, poi Belle toujours di Manuel de Oliveira, hanno decisamente sollevato il livello di questi ultimi giorni di Festival e l’umore di chi guarda e vi scrive. Quello di Lafosse è il ritratto aspro e pluriangolare di una famiglia che vive nella campagna francese. Un cinema fatto di finzione ma che vuole raccontare la realtà. Una riflessione intima del nucleo famigliare, con le sue incomprensioni e i suoi limiti. Se poi si aggiunge l’ottima interpretazione di Isabelle Huppert e di Jeremie Renier, le quotazioni del film salgono alle stelle. Belle toujours, invece, rende omaggio alla Bella di giorno di Luis Bunuel, realizzando un vero e proprio sequel a distanza di trentanove anni. Curioso e misterioso, quello di de Oliveira è un film che strizza l’occhio alle ossessioni bunueliane, rendendosi in più di un’occasione simpatico e malinconico.
Piccola soddisfazione. In un Festival che di italiano ha avuto ben poco, fa piacere incappare nel documentario di Daniele Vicari Il mio paese. Il regista di Velocità massima fotografa l’Italia che lavora da Gela a Prato, dalla Campania al Veneto, entrando a stretto contatto con chi lavora in quesi territori.
Chiusa parentesi. Questa sera aspettiamo Otomo Katsuhiro con il suo Bugmaster, e domani vediamo cosa avrà da dirci e farci vedere Crialese in Nuovomondo.

In concorso
Nue Proprietè 9

Fuori concorso
Belle toujuors 8

OTTAVA GIORNATA - 7 SETTEMBRE
INLAND EMPIRE Ore 10:45. Il momento di David Lynch. Grande attesa per INLAND EMPIRE, opera ultima del regista di Velluto Blu e Mullholland Drive, che in piena mattinata ha invaso le visioni della Mostra. Difficile, quasi impossibile entrare a far parte del corto circuito creato da Lynch. Una trappola per gli occhi, il corpo e la mente. Un labirinto, oppure una grande presa in giro? Sono passate diverse ore dalla visione del film e, ora, penso che andrebbero bene entrambe. Perché Lynch va oltre tutto e tutti. La trama non è lineare? Chissenefrega. Il digitale opprime e gli incubi paralizzano? Non importa. La coerenza c’è, anche se non si vede. Le immagini sono deformate e i mondi sono tutti invasi. Non perde la strada e traccia inconfondibilmente, con un tratto più trasgressivo che mai, un universo nascosto che l’uomo, davvero, evita e nasconde. O da cui è schiacciato.
Dopo la visione traumatica, passato lo smarrimento, la vita al Lido è continuata, ma tutti sembravano cambiati o forse, solamente rintronati. La coppia Straub-Huillet, spesso presente su Fuori Orario, con il film Quei loro incontri ha chiuso questa ottava giornata di full immersion con un’opera coerente alla loro filmografia. Una visione “altra”, completamente distaccata da qualsiasi forma di cinema commerciale o da autore. Ci si chiede se era necessario inserire il film, addirittura, nel concorso principale.
Allevia invece i dolori la simpatica commedia di David Frankel, Devil wears Prada, con un’irresistibile Meryl Streep nei panni della direttrice della rivista di moda Runway.

In concorso
Quei loro incontri (non posso esprimere un giudizio)

Fuori concorso
INLAND EMPIRE 7 (giudizio simbolico, in fase di cambiamento)
Devil wears Prada 6

Settimana della critica
Hiena 7

SETTIMA GIORNATA - 6 SETTEMBRE
LA STELLA CHE NON C'E' Il vento dell’Est che soffia su Venezia contamina anche le pellicole nostrane, a conferma del fatto che la dedizione verso l’estremo oriente non proviene solo dal direttore della mostra Marco Muller. Il film di Gianni Amelio, La stella che non c’è, ne è la conferma. Ambientato in una Cina ostile, lontana e fredda dal punto di vista umano, l’ultimo film del regista di Le chiavi di casa, ripercorre le tappe del lungo viaggio intrapreso da Vincenzo Buonavolontà, alle prese con un’ossessione lavorativa, i problemi di comunicazione e la solitudine. Quello di Amelio è un buon film, attento soprattutto al profilo dei personaggi più che al contesto cinese, che a volte pare approssimato, e Castellitto si conferma uno dei migliori attori italiani. La giornata si è conclusa con il film russo Euphoria, di Ivan Vyrypaev, e non ha riservato sorprese. Non basta, infatti, una convincente fotografia a “tappare” i buchi di una vicenda esile dal ritmo cadenzato, con una finta colonna sonora, considerando che la scuola russa sa fare molto meglio.
Poche sorprese anche dalle visioni collaterali. L’ungherese Nemes con Egyetleneim ha un buon soggetto ma si smarrisce in una regia che vuole essere più innovativa che coerente; il cinese Yuhang con Rain Dogs, cerca di realizzare un film di formazione, ma il risultato non convince.
Aspettiamo Lynch. Aspettiamo Lynch. Aspettiamo Lynch, i suoi sogni, i suoi deliri, il suo cinema.

LA STELLA CHE NON C’E’ 7

EUPHORIA 5

SESTA GIORNATA - 5 SETTEMBRE
THE FOUNTAIN L’attesa a volte può fare brutti scherzi. Come nel caso di The Fountain del regista Darren Aronofsky, autore indipendente di culto, creatore di grandi successi “underground” come Pi greco o Requiem for a dream. Il suo ultimo film non è un mega flop, anzi, ruota intorno a interessanti punti di vista. Il problema è che ci si aspettava di più. Troppo celebrale? Troppo sentimentale? Pareri contrastanti per un’idea, è vero, non più tanto originale (scomposizione temporale/spaziale e narrativa) ma che al suo interno rivela una buona dose di passione e creatività. Forse in certi casi, a qualcuno, non basta.
Anche perché poi nella stessa giornata capita di incappare in film come L’intouchable di Benoit Jacquet, e allora lì ci si arrabbia quando si sentono giudizi negativi su The fountain. Soprattutto ci si chiede perché questo film sia stato selezionato per il Festival. Trama esile, scontata, ritmo basso e poco, veramente poco interesse per le sorti della protagonista. Si salva solo la durata: 82 minuti. Per fortuna.
Le sorprese dei prossimi giorni dovrebbero rianimare un festival che in alcuni momenti della giornata concilia con il sonno. E non solo di sera davanti a film malese.

QUINTA GIORNATA - 4 SETTEMBRE
CHILDREN OF MAN La quinta giornata di Festival riserva poche ma buone sorprese. Ad accendere decisamente l’entusiasmo, e soprattutto a rendere la competizione un po’ più interessante, ci pensa Alfonso Cuaron con il suo Children of Men. La proiezione disperata e fantascientifica creata dal regista scaraventa l’uomo in un universo senza più speranza, senza più bambini. Un mondo destinato a finire completamente nella guerra e nella distruzione. Un film decisamente interessante e ricco di stimoli visivi, forse, con qualche troppa contaminazione filosofica.
Gli altri due film in concorso, Fallen di Barbara Allert e Hei Yanquan di Tsai Ming-Liang hanno completato il programma giornaliero. Il film della Allert, gia a Venezia nel ’99 con Nordrand non lascia decisamente il segno. La rimpatriata delle cinque amiche non convince ne incuriosisce (ma la porta del dubbio è aperta visto che il sottoscritto non ha visto il film e non lo vedrà, questione di scelte). Di altra natura il film del cinese Ming-Liang, estremo come sempre nel rappresentare l’uomo, la solitudine, il dolore, la vita nel suo complicarsi. Il vincitore del Leone d’Oro del 1994 (Vive l’amour) va preso così, senza mezze misure, senza movimenti di macchina, con pochissimi dialoghi. Peccato averlo visto ad una certa ora ed essersi fatti condizionare dalla traduzione inglese del titolo: I don’t want to sleep alone… In effetti qualcuno in sala dormiva sonoramente.
La settimana della critica ha riservato un altro film interessante: A guide to recognizing your saints, di Dito Montiel. Il regista ricostruendo un episodio della sua giovinezza riflette, da adulto, il rapporto con suo padre e con la città che l’ha cresciuto. Ritmo incalzante, buona colonna sonora e storia ben raccontata anche se già vista in altre occasioni.

In concorso
CHILDREN OF MEN 8
HEI YANQUAN 7

Settimana della critica
A GUIDE TO RECOGNIZING YOUR SAINTS 6 ½

QUARTA GIORNATA - 3 SETTEMBRE
THE QUEEN Farfalle, draghi, corto circuiti mentali. Si cambia registro a Venezia e lo si fa innanzitutto con un film d’animazione che riserva una piacevole colazione piccante. Paprika, di Kon Satoshi, stuzzica la vista fin dalle prime ore del mattino, proiettando l’occhio dello spettatore in nuove dimensioni. Il delirio onirico del regista giapponese, già autore di Tokio Godfathers, è una straordinaria orgia di colori e forme che penetra nel mondo dei sogni, rivelandone l’autenticità dialettica reale e fantastica rimasta ancora incontaminata nella mente dell’uomo. Ideale preludio in attesa che al Lido sbarchi David Lynch.
Stuzzica la fantasia anche Stephen Frears con il suo The Queen, bizzarro, a tratti sconcertante ritratto della regina Elisabetta ai tempi della morte di Lady Diana. L’ironia e la sfrontatezza di Frears nel ritrarre le reazioni della casa reale sono la vera forza trainante del film: dal Tony Blair versione sportiva con tanto di maglia del Newcastle e numero dieci sulle spalle, all’impassibilità dei reali di fronte alle reazioni del mondo. Convincente quando è cinico e spietato, meno quando è riflessivo e sentimentale, Frears nel finale accontenta un pò tutti sedando ogni polemica. Giusto così? Il film resta uno dei più brillanti in concorso.
La giornata ha riservato alcune visioni collaterali e un sacco di code. E’ stato anche il giorno di Marina Spada, la giovane regista milanese che ha presentato il suo interessante lungometraggio Come l’ombra, inserito nella sezione Giornate degli Autori, che affronta con fermezza e intelligenza il problema dell’immigrazione in un a Milano dalle forme rigide, fredda e distante; Ethan Hawke con The Hottest State tratto da un suo romanzo, si conferma invece un inguaribile nostalgico e romanticone, realizzando un film che potrebbe avere buoni incassi; e poco prima della mezzanotte è il momento di Goro Miyazaki, col suo adventure Tales fron Earthsea, film d’animazione creato insieme al più famoso padre, prima capitolo di un’avvincente saga.
Il film presentato nella sezione Settimana della Critica è stato Do Over del giovanissimo regista taiwanese Yu-chien Cheng. Temporalmente e formalmente segmentato, il film di Cheng affronta il tempo e la vita come costanti cicliche, in moto perpetuo e infinito. L’impianto è quello di Tarantino e Inarritu. Curioso.

Occhio strizzato

In concorso
Paprika Di Kon Satoshi 7
The Queen Di Stephen Frears 7 ½

Settimana della critica
Do Over Di Yu-chien Chang 6 ½

TERZA GIORNATA - 2 SETTEMBRE
PRIVATE FEARS IN PUBLIC PLACES Dopo le tragedie americane più o meno arginabili, il Festival pone l’accento su due tragedie europee. La prima è quella dell’Olanda occupata dai nazisti nel film di Paul Verhoeven, Zwartboek, la seconda, meno identificabile ma sempre disperata, è quella della solitudine descritta da Alain Resnais nel suo ultimo Private Fears in Public Places.
Verhoeven, regista di film spesso discussi (Basic Instint, Showgirl, ma anche Total Recall, Robocop) realizza una storia avvincente e dolorosa al tempo stesso. Il suo film si fonda sulla mescolanza di generi e stili alternando l’orrore delle torture dei nazisti che sfiora il pulp se non addirittura lo splatter, la suspance di un thriller avvincente, il pathos di un drama o di un adventure. Il meccanismo che riesce a dare originalità a Zwartboek è proprio questo: affrontare il dolore e la sofferenza da un punto di vista sempre differente. Pregio che si trasforma a volte in grosso limite, e non sempre tutto è calibrato come dovrebbe.
Tutt’altra cosa il film di Resnais. Cinema fatto di parole e immagini che vanno a scovare le paure e le angosce dell’uomo nella sua Parigi. Tre uomini e tre donne a contatto con la solitudine e il desiderio di nuovi contatti, nuovi progetti, nuove vite. La piccole paure condivise, nel film recita, splendida, anche Laura Morante, rimbalzano tra le mure delle case con una buona dose di ironia e amarezza, lasciando lo spettatore ad osservare i gesti e, inevitabilmente, ad ascoltare le parole.
Da segnalare anche l’apertura ufficiale della sezione Settimana della critica che ogni anno sforna film di qualità da tutto il mondo. Il primo film è stato Le pressentiment del francese Jean Pierre Daroussin. Una lieta sorpresa. Chi ben comincia...

Occhio strizzato

In concorso
ZWARTBOEK di Paul Verhoeven 6,5
PRIVATE FEARS IN PUBLIC PLACES di Alain Resnais 8

Settimana della critica
LE PRESSENTIMENT di Jean Pierre Daroussin 7

SECONDA GIORNATA - 1 SETTEMBRE
HOLLYWOODLAND Los Angeles, New Orleans e New York. Tre città, tre luoghi, tre anime diverse, lontane ma pur sempre dello stesso paese. L’America illusa di Hollywoodland film del “televisivo” Allen Coulter che con le imprese del Superman Anni ’50, va a scovare una Los Angeles non tanto distante da quella costruita da De Palma, più ingenua e sognatrice, ma pur sempre ingannata. Grande prova di Adrien Brody, anche qui istrionico nei panni di un investigatore privato alle prese con un caso che nessuno vuole seguire. Hollywoodland è un noir brillante, leggero e divertente anche se ogni tanto sembra perdere la sua freschezza per la troppa carne al fuoco.
La musica di New Orleans suona come un ricordo spezzato in tutto il film di Spike Lee When the Leeves Broke. A requiem in Four Acts, appassionato e intenso documentario sulla tragedia dell’uragano Catherina che colpì la città del Louisiana. Spike Lee ritrae un segmento di America che a fatica cerca di rinascere. Insegue la verità ricostruendo i terribili giorni dell’uragano che affondarono completamente l’intera città costringendo oltre duecentomila persone a rifugiarsi negli stati confinanti. Monumentale affresco della realtà, convincente nel testimoniare la verità attraverso i racconti dei sopravvissuti, attento e scrupoloso a mettere in evidenza la storia e le origini di New Orleans e dei suoi abitanti. Unico cruccio. Vista la lunghezza, 255’, verrà distribuito in Italia? Lo scorso sedici agosto all’anteprima americana, allo stadio Coliseum di New Orleans, che lo scorso agosto offriva riparo a migliaia di rifugiati, c’erano sedicimila persone.
Infine c’è l’America distrutta di Oliver Stone. Nei corpi, nei pensieri, nei ricordi, nelle Torri Gemelle. World Trade Center rende omaggio a chi perse la vita quel giorno di cinque anni fa, e anche a chi la vita è riuscito a tenersela stretta, anche a costo di stare sotto le macerie per oltre ventiquattro ore. Grandi effetti speciali, grande pathos, eroi e famiglia. C’è tutto il cinema di Stone, nel bene e nel male.

Presentimento e rammarico. E’ sfuggita, a chi scrive, la visione di SANG SATTAWAT (SYNDROMES AND CENTURY) del tailandese Weerasethakul. Vuoi vedere che alla fine…

Occhio strizzato. I voti dei film in concorso
BLACK DALIA 7 ½
SANG SATTAWAT n.p.
HOLLYWOODLAND 7
DARATT 6 ½

PRIMA GIORNATA - 31 AGOSTO
THE BLACK DAHLIA I fuochi d’artificio chiudono puntuali allo scoccare della mezzanotte la prima giornata di festival, ma Venezia non si trasforma in una zucca, rimane splendida e luccicante come sempre. Continua a brillare anche grazie a The Black Dahlia , ultima creazione cinematografica di Brian De Palma che ha aperto la 63° edizione della Mostra.
La Dalia nera, tratto dal romanzo di James Ellroy, è un noir fitto e passionale che sfrutta l’ingranaggio cinema a trecentosessanta gradi, rivelando senza alcun pudore l’arte del racconto cinematografico, di cui De Palma spesso si è rivelato maestro indiscusso. Il suo film mescola abilmente ingredienti del cinema d’autore al glamour, all’arte e alla letteratura di genere, strizzando immancabilmente l’occhiolino ai botteghini. Le atmosfere intriganti di una peccaminosa Los Angeles, più simile ad una città di anime perdute che ad una città di angeli, sono occupate da Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Hylary Swank e Aaron Eckhart, attori belli e (quasi sempre) convincenti che impreziosiscono ulteriormente il valore del film.
L’occhio di De Palma si catapulta sulla finzione della realtà, sui suoi inganni e sulla debolezza dell’uomo davanti al potere e al desiderio di successo. Il ritratto della sua città è disperato e vincolante. Il sangue scorre lento e inesorabile, entra nella mente dell’uomo, lo stringe forte e lo contamina. E’ feroce e soprattutto sporco. E’ sangue nero e marcio. Corrotto. Come il ritratto della sua Los Angeles, che è fatta anche di uomini in cerca di giustizia.
Dopo ieri c’è oggi. I tre più film più attesi sono Hollywoodland, di Allen Coutler con Adrien Brody, il doc di Spike Lee, When the Leeves Broke. A requiem in four acts, sulla tragedia di New Orleans dello scorso agosto, e il film di Oliver Stone post 11 settembre, World Trade Center.
Una partenza decisamente col botto, ma visti i tempi che corrono qui al Lido è meglio dire una partenza da fuochi d’artificio.