
Se mio padre dipinge un quadro, la sua opera è un esemplare unico e là rimane: saranno gli altri a doversi spostare per
 scoprirla e ci vorrà giustamente del tempo, anni o secoli forse.
Se io invece faccio un film, se ne stampano immediatamente decine, centinaia, anche migliaia di copie tutte uguali: non 
esiste “l’originale” di una pellicola, il primo esemplare è uguale all’ultimo, e tutti devono raggiungere i loro destinatari
 dovunque si trovino, in ogni angolo del mondo… 
(Jean Renoir tratto da 
Il vizio del cinema, G. Amelio)
Qualunque sia il modo in cui veniamo avvicinati dall’arte, una cosa è certa: è impossibile non restarne colpiti, è
 impossibile rimanerne indifferenti. Pittura, musica, fotografia, cinema. Siamo sempre circondati da una varietà infinita di
 input artistici, di forme espressive, di stili, di logiche di racconto, di visioni e impressioni. Ognuna vuole dirci
 qualcosa, ognuna vuole essere vissuta, interpretata, fatta nostra. Prima ancora di raggiungerci nasce nella testa del suo
 creatore. Non possiamo sapere cosa c’è veramente dietro un’opera, il motivo di certi colori, di determinate note, luci, 
inquadrature. Noi siamo gli spettatori, siamo i consumatori d’arte. L’arte non consuma, l’arte emoziona, suscita, stimola.
 Dunque se non è lei a raggiungerci, perché non andarla a cercare, ovunque essa si trovi (nelle sale cinematografiche, nei 
musei, nei teatri), per inseguire piccoli momenti di piacere? E se ne restiamo davvero colpiti sono istanti che possono
 diventare senza tempo, indistruttibili al ricordo, indelebili nella nostra memoria. Addirittura il nostro cervello, con i
 ricordi, traduce in arte l’arte, scattando fotografie nella memoria che le nostre percezioni sensoriali, poi, sfogliano 
come veri e propri album dei ricordi.
Se poi veniamo rimbalzati dentro mondi interamente pervasi da arte, il nostro cervello, il nostro corpo, il nostro essere,
 saranno trasportati e guidati da correnti sensitive e percettive. Andare al cinema, visitare una mostra, entrare ed uscire.

 Se leggessimo oltre il significato strettamente letterale, ci accorgeremmo della potenza di tali esperienze. Esperienze 
appunto, perché oggi quel che più conta è far vivere al consumatore qualcosa di davvero unico e irripetibile.
 
Ed è proprio Vievenne Westwood a fare della propria vita un esempio di unicità. Stilista, ma è meglio dire artista, 
londinese, che ci comunica apertamente questo essere unici attraverso i suoi abiti e le sue creazioni. L’esposizione di
 Palazzo Reale a Milano, conclusasi il 20 gennaio, ci ha fatto percorrere un viaggio nel tempo, dagli anni ’70, in cui la
 Westwood diventava stilista ufficiale dei Sex Pistols, fino alle realizzazioni dei giorni nostri. 
Si è trattato di una mostra itinerante, che ha iniziato il suo viaggio dal Victoria&Albert Museum di Londra e approdata,
 tappa dopo tappa tra i più importanti musei del mondo, a Palazzo Reale. Ed è proprio in questi casi, in cui il pacchetto
 arriva già confezionato, salvo qualche particolare, che lo spettatore/consumatore è chiamato direttamente a costruirsi
 quella famosa unicità che rende l’evento irripetibile. Se è consapevole del fatto che quell’esposizione è già stata vissuta
 da altre persone e osservata da altri sguardi, da altri occhi, da altri sensi, nello stesso modo in cui si sta presentando
 ai suoi occhi in quel momento, sarà egli stesso a doversi porre in maniera diversa, a rimanere immobile davanti a
 quell’oggetto del desiderio per studiarlo, osservarlo, capirlo e farlo diventare suo almeno per qualche istante. Farsi
 assorbire completamente dai suoi colori, dai suoi suoni, dalle sue parole. 
Percorri pure il breve ma lungo cammino westwoodiano. Ma in quale periodo ti riconosci? Quale senti più vicino a te? Il Let
 it Rock o il Pirates? O quale altro ancora? Ti senti Let it Rock? Allora  vivi Let it Rock. Solo così l’esperienza diventa
 indelebile. Ecco perché una volta fuori, tornati alla realtà, ci si sente trasformati, ci si sente altro. E questo essere
 altro permette di osservare il mondo con uno sguardo nuovo, più ricco, più curioso, più libero. Ed è anche per questo
 motivo che si può allora rivalutare il ruolo della Westwood e definirla dunque artista, non semplicemente stilista di moda. 
Tutto dipende da come si guarda e da come si vogliono vivere le cose e di conseguenza trasmetterle.
 
O forse, da come ci lasciamo stuzzicare dall’arte.
“Hai una vita molto più interessante se indossi abiti unici”.
Vivienne Westwood